"Undici giorni, undici, ci sono voluti, per avere una risposta. Domani forse verrà qualcuno a farmi il tampone", racconta Gianni M., barista in un paese a pochi chilometri da Cagliari.

Dopo il contatto con un amico poi risultato positivo, e che ospitava in casa propria, "mi metto in quarantena, chiamo continuamente i servizi sanitari, niente, nessuno ci dice cosa dobbiamo fare. Abbandonati. Soltanto ieri, dopo numerosi solleciti, dopo che ho scritto mail a tutto il mondo, all'Ats, alla Giunta, ai giornali, dopo undici giorni, ci hanno chiamato per dirci che un'équipe medica verrà a casa a fare un tampone a me e a curare lui".

Di racconti così nell'Isola se ne registrano un'infinità.

Lo ha riconosciuto anche la Regione nel piano d'emergenza a 40 giorni: le persone non sempre trovano ascolto dai medici di famiglia, così si precipitano nei pronto soccorso, congestionandoli; gli interventi vengono fatti tardi e il tracciamento dei contatti salta; per tamponi e test bisogna attendere a lungo; i referti degli esami fatti dal servizio pubblico non vengono comunicati ai diretti interessati né ai sindaci; il monitoraggio domiciliare (con le annesse terapie farmacologiche) fa acqua da ogni parte.

Dunque se si hanno i sintomi cosa bisogna fare? "Chiamare subito il medico di base, che consiglia come procedere - sottolinea la dottoressa Monica Peralta (Medicina interna all'Aou di Cagliari), attualmente prestata al Covid -: So che a volte il medico di famiglia non c'è, anche loro sono stracarichi di lavoro, però bisogna insistere, qualcuno una risposta la deve dare, anche per attenuare la paura. Sconsiglio il "fai da te". Purtroppo la rete è in una situazione difficile, è un problema enorme, il territorio è in affanno e conseguentemente va in sofferenza anche l'ospedale. Stiamo pagando cari i tagli fatti in passato".

(Unioneonline)

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