«Il passaporto sanitario? Mi sembra un'ottima idea, sia per chi arriva ma anche per i sardi che lavorano nel turismo. Abbiamo i contagi ormai quasi a zero, siamo una garanzia per chi viene in vacanza, e il turista dev'essere una garanzia per noi», dice Stefano Del Giacco, 51 anni, responsabile del reparto di Allergologia e Immunologia clinica, dell'Unità operativa complessa di Medicina interna dell'Aou di Cagliari.

Dunque, sì al certificato di negatività?

«Ecco, sì, meglio chiamarlo certificato, passaporto può spaventare. Lo approvo in pieno, è una cosa alla quale ho pensato mesi fa, all'inizio della pandemia. Dobbiamo sfruttare il vantaggio di essere un'isola con pochi casi e una curva di contagio praticamente azzerata».

Si discute sui costi.

«Mi sembrano polemiche inutili. Se un turista vuole venire, 40 euro per fare un test li spende senza problemi. E poi, non si è detto che gli verranno rimborsati sotto forma di servizi?».

C'è anche confusione su quale test fare.

«La certezza assoluta della negatività non si può raggiungere, il tampone rimane il più affidabile, fa la fotografia di un momento, ma deve essere fatto da persone esperte. I test rapidi hanno ancora limiti, magari combinando le due metodiche si può avere una ragionevole sicurezza che la persona non sia positiva».

Un altro problema è: dove farli?

«Ci sono i comitati tecnico-scientifici che stanno studiando questi aspetti. Forse si potrebbero stipulare convenzioni con centri specializzati per fare questi esami con un costo calmierato. Comunque, i test sierologici ormai si fanno nei laboratori privati, tutti vogliono sapere se hanno passato il coronavirus».

La privacy è un ostacolo.

«La legge sulla privacy è sacrosanta, però penso che dovremmo cercare di superare le costrizioni burocratiche. Tutti siamo sui social e vediamo cosa fanno amici e conoscenti, però non vogliamo comunicare il nostro nome per andare in vacanza. Bisogna essere ragionevoli».

Di qualcosa simile a un passaporto sanitario si era parlato, a livello europeo, già dieci anni fa.

«C'era stata l'idea di inserire nel microchip della tessera sanitaria una serie di dati utili per chi viaggia: se hai fatto vaccinazioni, soffri di patologie, assumi farmaci, sei coperto dall'assicurazione all'estero. Alcuni Paesi ce l'hanno, da noi non se n'è fatto nulla».

Alle Canarie a luglio atterrerà un aereo carico di turisti con passaporto sanitario digitale che saranno monitorati in ogni luogo della vacanza.

«Lo immaginavo anch'io per la Sardegna, sarebbe un'occasione d'oro anche a livello epidemiologico, ci darebbe dati importantissimi che aiuterebbero ad affrontare un'eventuale nuova ondata».

Però nell'Isola si fanno pochi tamponi.

«Allora, più tamponi si fanno meglio è. A posteriori possiamo dire che il tampone, a livello nazionale, l'avremmo dovuto fare subito a tutto il personale sanitario, alle forze dell'ordine, a tutti coloro che hanno rapporti col pubblico».

E adesso?

«Credo sarebbe opportuno decidere una periodicità per determinate categorie, ad esempio il personale sanitario, lo abbiamo fatto praticamente tutti, e tra un mese lo rifacciamo; poi chi lavora negli aeroporti, gli equipaggi di aerei e navi. E qui si ritorna al passaporto sanitario: io prendo un traghetto per venire in Sardegna e tu mi devi garantire che l'inserviente che ha preparato la cabina e il barista che mi serve il cappuccino sono negativi».

Ha fatto un giro? Tanta gente nei locali, poche mascherine. Quali sono i rischi?

«I sardi sono stati eccezionali nel rispettare il lockdown. Ora i rischi stanno nella voglia di tornare alla vita normale, soprattutto per i giovani. Ma questo è il periodo decisivo, nelle prossime settimane avremo il polso di quanto il virus è ancora nascosto in pazienti asintomatici. E ovviamente se non manteniamo il distanziamento sociale e ci lanciamo in movide, il rischio di una risalita dei contagi c'è. Suggerirei di aspettare ancora un po', senza tarparsi le ali, ma usando tutte le precauzioni».

Mascherina sempre?

«È chiaro che se si va a correre da soli non ce n'è bisogno, ma se si cammina in una strada piena di gente, oppure si sta in gruppo fuori da un locale, consiglio rigorosamente di usarla».

Andare al ristorante è pericoloso?

«È preferibile andare in un ristorante all'aperto, e dove la distanza tra i tavoli è garantita, augurandoci che i locali rispettino alla lettera tutte le prescrizioni. Si suppone che il locale abbia igienizzato bicchieri e posate, e ho visto che molti si sono attrezzati con materiale monouso, ovviamente preferibile».

Fare shopping, misurare vestiti, è pericoloso?

Direi di no se si rispettano le regole. Ovviamente sempre mascherina e igienizzazione delle mani».

Usare il bancomat, toccare il Pos?

«Il Pos andrebbe disinfettato a ogni cliente, e cerchiamo di usare per quanto possibile il contact less».

Andare in spiaggia, fare il bagno?

«Nel fare il bagno non vedo particolari problemi, l'acqua di mare non dovrebbe essere un veicolo di contagio del Covid-19. Per la spiaggia è il solito discorso: non bisogna stare troppo vicini, purtroppo è difficile pensare a un litorale dove tutti stanno ordinati, ognuno sotto il proprio ombrellone».

Prendere l'aereo è pericoloso?

«In aereo c'è un ricircolo di aria che potenzialmente espone al contagio, infatti non è infrequente che da un volo lungo si sbarchi con il raffreddore. Per questo a bordo c'è l'obbligo di mascherina e, per ora, si occuperà un posto sì e uno no. Bisogna capire come evolve il virus, adesso siamo tutti in stand by, stiamo tornando alla normalità ma abbiamo gli occhi puntati sull'autunno. Consideriamo che nel nostro emisfero è arrivata l'estate, ma dall'altra parte del mondo arriva l'inverno, bisogna capire come evolverà il virus lì e se ci saranno dei rimbalzi».

Il vaccino contro l'influenza ci può aiutare?

«Io lo consiglio a tutte le persone a rischio, inclusi gli anziani e i giovani che vanno a scuola. In generale nella popolazione potrebbe essere utile per mettere al riparo da situazioni infettive che possono causare una immunosoppressione che a sua volta può lasciare una finestra aperta per l'ingresso del coronavirus».

Cristina Cossu

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