Per il momento, salvo nuovi colpi di scena nel corso dei prossimi giorni, sembra fallito, per la ferma e più che comprensibile opposizione di Conte, l’accordo europeo (che si sarebbe voluto) “solidale” in merito alle soluzioni economiche da adottare per contrastare gli effetti dell’emergenza cagionata dal Coronavirus.

E tanto è bastato per alimentare le istanze di quanti, attraverso richiami espressivi più o meno espliciti, hanno da sempre caldeggiato quel fenomeno arcano e un po indigesto chiamato Italexit. Primo tra tutti il Leader della Lega, che, spinto probabilmente anche dall’esigenza di recuperare i consensi nel frattempo perduti stando all’opposizione, sembra voler tornare alla congeniale réclame iniziale ed antieuropeista solo per rivivere i fasti del periodo ante Papeete. Istanze e propagande a parte, che davvero, in questo momento, lasciano il tempo che trovano, e altro effetto non hanno se non complicare e appesantire una situazione già di per sé drammatica, è comunque innegabile che questa emergenza sanitaria contribuirà a determinare non solo cambiamenti radicali nel circuito europeo, ma anche nell’intero Occidente, provocando una rimodulazione e nuova distribuzione degli assetti di potere tra le varie nazioni coinvolte, le quali, volenti o nolenti, non potranno fare altro che assecondare il mutamento, qualunque esso sia, per non restarne travolte. Ma quali saranno le conseguenze politiche, che saranno poi anche economiche, di questa pandemia? E’ possibile prevederle per poterne anticipare le reazioni e le potenziali soluzioni? Sarebbe davvero cosa e buona e giusta salutare l’Unione Europea assecondando la volontà della parte euroscettica del Paese? E, in ogni caso, il sogno europeo può dirsi davvero drasticamente naufragato? E’ arrivato il momento di tornare al sistema dello Stato forte e dei rigidi confini nazionali? Con l’arrivo del Coronavirus abbiamo detto addio alla globalizzazione?

Le risposte potrebbero essere molteplici e variamente condizionate dall’ideologia politica di ciascuno di noi. Tuttavia, onde evitare condizionamenti, per quanto possibile, si potrebbe prendere le mosse da talune considerazioni, e/o dati di fatto, utili ad offrire risposte, quanto meno lo spero, il più possibile ragionevoli. Primo dato di fatto/considerazione è che fino ad oggi, questa Europa di finanza e non di popoli, si è sempre mostrata piuttosto reticente nell’offrire sostegno concreto e comprensione verso i membri economicamente più fragili, e il caso della Grecia la dice lunga in argomento. Secondo dato di fatto/considerazione, piaccia o no, è che, tuttavia, appare del tutto velleitario e fuorviante sostenere che l’Europa non esista, o non sia mai davvero esistita, allorquando, proprio in quella florida compagine geopolitica, la nostra Italia, dagli anni cinquanta ad oggi, seppure in maniera altalenante, si è plasmata ed è cresciuta fino a divenirne la terza potenza dopo Germania e Francia. Sicchè, virus o non virus, l’Europa, o meglio, si auspica, una diversa Europa, continuerà ad esistere e noi a farne parte, non foss’altro per il fatto di non disporre di alcun’altra alternativa utile. Intanto, perché purtroppo, per assecondare un ritorno al nazionalismo ed alla logica dei marcati confini territoriali, sarebbe oltremodo necessario poter contare su un apparato statale efficientemente strutturato e finanziariamente inossidabile, quale non è quello italiano di oggi (incapace persino di adottare misure di impatto e di pronta utilità per i cittadini ma capacissimo invece a burocratizzare, e di conseguenza, complicare, persino l’emergenza con continui proclami e fiumi di inchiostro non seguiti da subitanei e semplici fatti concreti), che possa affrontare i contraccolpi e i pressing economici di altre nazioni più forti e strutturate, e che, per ciò stesso, si rivela inidoneo ad incidere positivamente sulla fiducia di quello che dovrebbe essere il Popolo Sovrano, oramai logoro.

Quindi, perché, di conseguenza, l’unica strada da perseguire, e l’emergenza sanitaria globale (che mai avremo voluto sia ben chiaro) in questo senso, in qualche modo, ci presta il fianco, è quella di favorire non un processo di lento spegnimento dei motori dell’Unione Europea, quanto piuttosto la sua definitiva trasformazione in senso federalista, superando una volta per tutte il modello dello stato nazione ancora fortemente presente nella stessa compagine europea e che ora come ora rappresenta il maggior ostacolo ad ogni azione economicamente solidale, al fine di approntare vere e proprie strutture politiche, ma anche sociali, che siano più vicine ai cittadini, tangibili, e quindi maggiormente idonee a favorire quel percorso di integrazione tra popoli che fino ad oggi non ha potuto trovare un opportuno e fortunato compimento. Inoltre, perché seppure la tendenza del momento, dettata chiaramente dalla paura del contagio ma non da un vero sentimento di chiusura, pare essere proprio quella di favorire il “territorialismo” intransigente, non solo a livello statale, ma anche tipicamente regionale se non anche comunale, tuttavia, la storia ci ha insegnato che i “muri”, lungi dal porsi come soluzioni, servono solamente ad acuire i problemi e le disuguaglianze. Infine, perché, a mio modesto modo di pensare, la vera svolta, la soluzione a questo male che sembra fuoriuscito da una sorta di disgraziato Vaso di Pandora, sembra essere proprio quella di abbandonare ogni sorta di egoismo nazionalista e propaganda divisiva tipicamente idonei, nella circostanza, a favorire un pericoloso apprezzamento e ascesa dei sistemi autoritaristici, Cinese in particolare, apparentemente forti, ma per nulla democratici, da cui corriamo il rischio di restare travolti come Europa e come Occidente. Noi, con rispetto parlando, e con tutti i nostri limiti, siamo altro, siamo “libertà”.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato - Nuoro)
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