Nelle ultime ore due notizie hanno fatto particolare scalpore. La prima proviene dalla Calabria: Grazia, una donna di 61 anni, per andare a fare le pulizie (a 300 euro al mese) alle cinque del mattino, è costretta a dormire ogni notte su una panchina. L'ultimo autobus disponibile è infatti a mezzanotte, il primo della mattina troppo tardi per le sue esigenze.

La seconda notizia viene da Pomigliano d'Arco. Nel Paese natale del Ministro degli esteri, con 39.000 abitanti, quasi un terzo della popolazione, circa dodicimila persone, percepisce il reddito di cittadinanza, senza ricevere, ormai da molti mesi, alcuna proposta di lavoro. Le varie interviste rivolte a gente del posto riferiscono anche di come molti dei "cittadini" sussidiati siano occupati al nero e taluni pure dediti al contrabbando di sigarette.

Non è possibile rimanere indifferenti alla stridente combinazione delle predette notizie e non avvertire un profondo senso di frustrazione, rabbia; e poi forse spossatezza, rassegnazione, davanti ad un Paese pieno di talenti, risorse e meraviglie che appare come un gigante intrappolato, legato con lacci e lacciuoli e ricoperto di una fitta coltre di parassiti che gli annebbiano la vista, rallentano i movimenti e sottraggono gran parte delle energie vitali. Esattamente come nella scena del Gulliver catturato dai lillipuziani di Jonathan Swift, parodia -anche quella- di un'Inghilterra ostaggio di una pletora di nani che litigavano su cose inutili, se rompere le uova dalla parte più grossa o più piccola: allegoria delle dispute religiose tra cattolici e anglicani. M a ciò che fa più rabbia è l'ipocrisia che si nasconde dietro un simile scenario: quella di chi vuol far passare il messaggio che il reddito di cittadinanza è stato concepito da benefattori, con animo caritatevole, di sinistra. Peccato che chi lavora, e fa sacrifici immani per mantenere il proprio posto di lavoro non se ne sia accorto e da tanta carità si senta invece preso in giro, gabbato, ancor più penalizzato.

Vorremmo infatti sapere cosa ne pensa la povera Grazia che, pur di andare, all'alba, a fare le pulizie, è costretta a fare la senzatetto. E cosa pensa di coloro che preferiscono pagare migliaia di persone per stare a casa piuttosto che fornire a lei una corsa di autobus in più, nottetempo, per permetterle di andare a lavorare senza dormire all'addiaccio. Vorremmo sapere se anche Grazia si farà comprensibilmente persuadere dalle sirene dell'assistenzialismo a domicilio oppure riuscirà a stringere i denti e difendere quella dignità che solo un lavoro (non certo una rendita parassitaria) le può dare.

Ci sarebbe da domandare al professor Gøsta Esping-Andersen, il sociologo danese che ha classificato i diversi modelli di Stato sociale, cosa pensa del caso italiano, dove invece di ridurre le diseguaglianze se ne creano di nuove, penalizzando i lavoratori più bisognosi, degradati a cittadini di serie B. Meriterebbe anche chiedere ai sindacati cosa pensano di uno Stato che preferisce mantenere, a carissimo prezzo, chi non lavora piuttosto che tutelare chi ha un lavoro sottopagato o chi rischia di perderlo; domandare ai lavoratori delle tante crisi aziendali se si sentono ancora rappresentati e se rinunceranno anch'essi al lavoro in cambio di un sussidio.

Sarei curioso perfino di sentire la sinistra più ortodossa, ancora affezionata ai miti sovietici che sicuramente, sorridendo, ricorderà il noto brocardo: "Facevamo finta di lavorare e Mosca faceva finta di

pagarci". Ma ricorderà anche che la prima Costituzione sovietica, del 1918, all'indomani della Rivoluzione d'ottobre, all'articolo 3, lettera f), prevedeva che: «Al fine di distruggere gli elementi parassitari della società e di organizzare l'economia nazionale, viene istituito per tutti il servizio obbligatorio del lavoro».

Si badi bene, non il diritto al lavoro, ma il lavoro obbligatorio, per sradicare la rendita e dare a tutti un'occupazione; proprio quella che Grazia difende strenuamente; mentre ad altri si propone di farne a meno e rischiare di sprofondare nell'economia sommersa.

Altre domande sorgono spontanee: in quanto tempo i dodicimila "cittadini" di Pomigliano d'Arco verranno assorbiti nel mondo del lavoro? E (visto che ci siamo) quali sono -a questo punto- le loro intenzioni di voto alle prossime elezioni regionali in Campania?

In ultimo, ma non per importanza, occorrerà chiedersi quali conseguenze, anche culturali, comporterà avere instillato nella gente l'idea che la cittadinanza ha sostituito il lavoro, che occupazione e reddito non sono interconnessi e che la meritocrazia (cioè capacità e impegno, che le misure assistenziali non contemplano) è Dulcis in fundo: l'assistenzialismo di cui parliamo è fatto in deficit, aumentando il debito pubblico. Della serie: ti sostengo senza averne le risorse. E chi sostiene il sostenitore? Non preoccupatevi: il conto va

sempre alle nuove generazioni; loro il reddito non lo percepiranno ma, da buoni cittadini, lo dovranno pagare.

Aldo Berlinguer

(Università di Cagliari)

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