Noi, chi siamo? Me lo chiedo cercando di fare un bilancio, sempre provvisorio, sempre incerto, dopo aver riportato il baricentro in Sardegna ed essermi confrontato con un campione non scientifico, lo so, che tuttavia non lascia molta speranza a variazioni rilevanti.

Si può vivere senza libri, giornali, TV e social: molti lo fanno, magari dando solo un'occhiata al film serale prima di andare a letto; viceversa, ci si può interessare alla realtà locale, si possono spulciare i quotidiani, approfondire i dibattiti in televisione, lavorare attivamente e partecipare nella discussione e nelle battaglie civili, sforzandosi di capire meglio. Nel secondo caso, il risultato è di tale stato confusionale che vien voglia di estraniarsi chiudendo i boccaporti, oppure di fuggire, ripercorrendo i passi che i nostri giovani in cerca di futuro ormai compiono lontano dall'isola.

Manca completamente un'idea di Sardegna, frammentata sulle rocce delle ideologie, di una stantia emulazione dell'Italia e del tornaconto personale, e dunque quasi impossibile da ricostruire, da forgiare a sistema-motore dello sviluppo. Il risultato è impietoso, quanto devastanti sono le resistenze occulte, che mettono ceppi ai progetti fingendo costruttività.

Veniamo ai numeri: negli ultimi 20 anni la ricchezza dell'Italia è cresciuta mediamente dello 0,2 per cento ogni anno, un nulla. Lo rileva l'Associazione Artigiani e Piccole Imprese, la Cgia, secondo cui «il dato è molto preoccupante e riconducibile, in particolar modo, agli effetti della crisi iniziata nel 2008».

Il settentrione è però cresciuto del 7,5% (attenzione: l'UE ha raggiunto in vent'anni il 30% di crescita), mentre il Mezzogiorno è sprofondato di 6 punti percentuali. La Sardegna, che solo negli ultimi cinque anni ha perso quattro punti di Pil, è nel profondo baratro, 214ima nella classifica delle regioni europee.

La Cgia parla di una generale bassa produttività, di deficit infrastrutturale e tasse elevate, di burocrazia ottusa ed eccessiva. Come soluzione prioritaria indica l'adozione della "Golden Rule": gli investimenti pubblici andrebbero ragionevolmente scorporati dal computo del deficit ai fini del rispetto del patto di stabilità dell'UE. Questo per riconquistare quei 19,2 punti d'investimenti mancanti rispetto al 2007, un'enormità nonostante il bazooka di Draghi continui a scambiare con le banche miliardi di euro in cambio di titoli. Una situazione molto precaria (dal 2000 la disoccupazione è passata dal 6 al 10 per cento, ricordiamo), drammatica al Sud e disperata in Sardegna, e dalla quale si esce solo cambiando il modo di concretizzare una politica non ostaggio delle ideologie ma rivolta al bene pubblico, sposando una visione precisa e una strategia affilata e senza sconti.

Che cosa dobbiamo fare nella nostra terra? È qui che i nodi vengono al pettine e fioriscono le più disparate teorie, compresa quella di rilanciare l'industria, nonostante il peso, in forte aumento, delle diseconomie insulari. Ma al di là del singolo portato, è la mancanza di una priorità, di una direzione, che sconvolge. Dove vogliamo andare?

L'immagine che appare dall'alto è di una grande città, non ancora metropolitana, verso cui converge una quotidiana processione di questuanti, in ordine sparso essendo gli investimenti non focalizzati ma a pioggia. Perché l'inefficacia della programmazione pubblica è andata accelerando con la crisi: la sua fondamentale funzione non è stata supportata da una visione chiara e definita, non da una lettura del mercato, neanche da un intervento superiore, europeo, d'incentivazione dell'istruzione, per esempio, che è una delle più potenti leve di sviluppo.

Vogliamo insistere in quest'andazzo sino a risentire il grido "Affora sos sardos!" e chiudere i portoni alle sei di sera, rimandando i biddai nei paesi poveri e spopolati? Il circolo mortale che contempla una formazione deficitaria, investimenti ridotti e non finalizzati, e l'accentuazione delle mancanze strutturali e di collegamento, può essere spezzato solo sostituendo il paradigma assistenzialista con una strategia di poche gambe solide, ben sarde, e un piano di azioni cogentemente consequenziali.

Con le ricchezze uniche che la Sardegna offre, la visione che i suoi pochi abitanti dovrebbero seguire appare facile, quasi banale: Sole, Salute e Storia sarebbero macro categorie sufficienti. Purtroppo gli "ausiliari della sosta" sono ancora una casta potente, dannosamente miope.

Ciriaco Offeddu

(Manager e scrittore)
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