Anche Cagliari, non diversamente da molte città europee, sta attraversando un periodo alquanto complicato. Di necessarie trasformazioni certamente, ma anche di forti contraddizioni e di progressivi appannamenti. Che non hanno riguardato solo la fisicità e l'immagine dei suoi luoghi, ma soprattutto le attitudini nel dover essere, come è ricordato nel suo palazzo civico, "caput et fortitudo totius insulae". Avendo troppo spesso dimenticato, specie in questi ultimi tempi, le sue responsabilità d'esserne la capitale politica. Cioè guida e traino per il progresso dell'intera regione.

Non si tratta quindi di un declino che riguardi le capacità di questo o quel sindaco, o degli indirizzi - di destra o di sinistra - d'una giunta: attiene quasi esclusivamente alla presenza di élite cittadine (della cultura, dell'impresa, del lavoro e anche della politica) preparate e attrezzate per svolgere quel ruolo.

Una capitale decaduta, quindi, per un'Isola in decadenza? Sarà proprio questa domanda a introdurre questa riflessione. Che è poi un'analisi del come si sia affievolito, in questi ultimi tempi, quello spirito civico, quell'orgoglio d'appartenenza, che ne aveva fatto una città coraggiosamente "en marche". Sostenuta e guidata da una classe dirigente, da delle élite quindi, capace di creare innovazione, mobilità sociale e sviluppo economico. Di fatto, delle persone illuminate che s'erano messe insieme, superando gli egoismi e gli interessi individuali, per costituirsi e operare come "classe" sociale.

Al servizio, quindi, d'una crescita della città e d'uno sviluppo regionalmente diffuso.

Ora, da un po' di anni a questa parte, quella classe s'è come dispersa, mimetizzata ed anche frantumata in tante micromonadi. O, per una più negativa lettura, trasformata in centri di potere. Un fenomeno che ha investito, con eguale intensità, l'economia, la cultura, la politica, la scuola. Sottoponendoli al contagio con un individualismo amorale che non ha risparmiato nessuno dei centri nevralgici della società cagliaritana. Così ora la si ritrova debilitata, chiusa in se stessa, refrattaria ai cambiamenti e corporativamente egoista. Avendo dimenticato, o dismesso, quelle che erano le sue tradizionali attrezzature socio-istituzionali, civiche, economiche e culturali.

I riscontri di questa decadenza li si ritrovano nell'impietoso declino di quelli che un tempo erano i fertili laboratori cittadini per l'innovazione ed il progresso. La storia cittadina ricorda il ruolo fortemente positivo che quei laboratori (dalla Camera di commercio alle unioni datoriali e sindacali fino alle associazioni culturali) ebbero nel promuovere, con le loro richieste e le loro proposte, il progresso della città e, con essa, dell'intera regione. Oggi, purtroppo, parrebbero avere dimenticato o perduto quelle volontà e quelle capacità, trasformatisi in uffici più o meno burocratici o di semplice rappresentanza che ne hanno banalizzato dirigenze e compiti.

Ed è poi questa una negatività da cui Cagliari deve liberarsi con decisione, che la sua gente deve affrontare con forte impegno. Non si ha tanto bisogno di ritrovare un nuovo Bacaredda, quanto di riuscire a reclutare, ad esempio, dei nuovi Enrico Serpieri, Dionigi Scano e Liborio Azzolina che sappiano ridare, con i loro saperi e le loro attività, un nuovo grande futuro alla città. Perché Cagliari deve ritrovare delle élites virtuose che pongano fine alla sua triste decadenza.

S'avverte quindi la necessità di reclutare una nuova classe dirigente in grado di mettere in campo e di dimostrare una sapienza socio-culturale adatta a proporre nuove soluzioni e validi progetti. Che abbia innanzitutto una visione del futuro in linea con le responsabilità e le capacità di una vera città capitale. Nell'economia come nella cultura e nella politica. Si è dell'opinione che Cagliari abbia in sé, e possa ritrovare, queste potenzialità e queste risorse. Bisognerà certamente mettere insieme delle rinnovate volontà, bandendo gli egoismi corporativi, le ambiguità tra economia e politica e, ancora, l'ampia varietà di rendite di posizione. Si è dell'avviso che occorra affidare il testimone ai tanti nostri giovani perché sappiano replicare, con le loro qualità ed il loro entusiasmo, quei trentenni che, negli anni bacareddiani, seppero realizzare, con coraggio e tenacia, una città moderna, aperta al mondo ed al progresso, guida e traino dell'intera Isola.

Paolo Fadda

(Storico e scrittore)
© Riproduzione riservata