Niente di originale sull'8 marzo, ma non perdiamo la speranza: il commento di Barbara Serra
In linea generale essere donna in Italia è una grande fortuna. Ma nel dettaglio, come è messo il nostro Paese nella classifica globale di parità di genere? MalePer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Chiedetemi di parlare di Medio Oriente. Di globalizzazione. Di islamismo estremo, delle ragioni per la Brexit, di immigrazione. Di qualsiasi cosa, vi prego, ma non di scrivere qualcosa di originale sull'8 marzo, il giorno della donna. Perché è praticamente impossibile e in più deprimente. Tutto è stato detto e il cambiamento, quando c'è, procede a passo glaciale.
Per affrontare l'8 marzo, più di una mimosa di tipo floreale, ho bisogno di una mimosa di tipo alcolico (spumante e succo di arancia, ottimo cocktail per unire l'assunzione di alcol con l'assunzione di vitamina C). Ma ok, proviamoci. Abbiamo il dovere di non perdere la speranza.
Iniziamo dai fatti. Essere donna in Italia è una grande fortuna. Dovremmo ringraziare Dio di non esser nate in posti dove la sola idea dell'eguaglianza è inesistente, dove non possiamo scegliere se, con chi e quando sposarci, dove i nostri organi sessuali sono mutilati sotto pretesti culturali e religiosi, dove lo stupro è usato come arma di guerra, dove la più alta probabilità di morte precoce è durante il parto e dove non abbiamo nessun diritto legale ai nostri figli, che rimangono sempre "proprietà" della famiglia del padre.
Va bene, poteva andarci peggio. Ma guardiamo in dettaglio dove siamo nella classifica globale di parità di genere. È difficile avere una immagine esatta, ma la più attendibile rimane la lista annuale del World Economic Forum di 149 paesi. Ai primi posti nel 2018 troviamo i soliti sospetti: Islanda, Norvegia, Svezia, Finlandia.
Per chi volesse godere di parità di genere a temperature meno gelide, c'e la Francia al 12esimo posto, Germania al 14esimo, Regno Unito al 15esimo. Il sole del Mediterraneo ci costa altre 14 posizioni, ecco infatti la Spagna al 29esimo posto.
Ma è il salto ad est fra Spagna e Italia che fa la differenza perché qui troviamo l'Italia al 70esimo posto. Avete letto bene. 70. Letteralmente più vicina al Qatar (127esima posizione, paese del Golfo arabo, nazione musulmana wahabista, patria di Al Jazeera) che non alla Francia. Scioccante vero? Visto che la nostra cultura è ovviamente più simile a quella francese che non a quella qatariota, cos'è che ci fa sprofondare in classifica?
È la sezione “partecipazione economica e opportunità”. In parole povere, il lavoro. 118esimi al mondo. Un disastro, non solo per le donne, ma per il paese. Eppure in Italia, di parità di genere, non sembra importare niente a nessuno. Non è vista come una priorità. Invece importa eccome, e non solo per questioni di uguaglianza e femminismo. Uno dei grandi problemi italiani è il crollo delle nascite.
Siamo fra gli ultimi fra gli europei per tasso di natalità, mentre in cima ci sono Svezia e Francia che, ma guarda che coincidenza, sono anche fra i primi paesi al mondo per parità di genere. Una donna francese fa 1,92 figli (statisticamente parlando), l'italiana 1,34. Guardando questi dati, il nostro ignorare la questione è un suicidio sociale. Allora, cosa fare, sopratutto a livello individuale?
Oltre la volontà politica, una delle leve chiavi è la rappresentanza: in politica, al lavoro, nei media. Si devono coinvolgere le donne a tutti i livelli per avere un vero cambiamento positivo. E qui le donne hanno un grande potere, il potere del portafoglio. Perché pur guadagnando meno degli uomini, i soldi li spendono loro. Dal 70 all'80% degli acquisti dei consumatori sono guidati da donne, che gestiscono i soldi per la casa, per i figli, per il cibo, spesso per gli anziani, e per il marito. Il potere economico delle donne è enorme e deve essere usato consapevolmente.
Ogni volta che vediamo una situazione che non ci rappresenta, che sia una pubblicità, un programma televisivo, una conferenza, qualsiasi contesto in cui le donne non hanno voce e visibilità, basta guardare chi sono gli sponsor, e fare una nota mentale di non comprare quei prodotti. Si chiama boicottaggio, e funziona. Alla fine questa non è solo una questione di femminismo, ma di rappresentanza. Ah, e poi ovviamente le quote rosa sono essenziali. Ma di questo ne parliamo il prossimo 8 marzo.
Barbara Serra
(Conduttrice di Al Jazeera a Londra)