In questi giorni a farla da padrone, e proprio a ridosso dalle elezioni per il rinnovo del nostro Consiglio Regionale, è il grido assordante e carico di rabbia dei pastori sardi da tanti anni sottoposti ad una politica di settore che ha gravemente mortificato il comparto produttivo portando il prezzo del latte ovino, impiegato per la produzione del Pecorino Romano, a 60 centesimi al litro.

La sommossa ha attirato l’attenzione del Ministro dell’Interno, il quale, ricevuta a Roma una delegazione di pastori della Coldiretti, ha promesso di offrire una soluzione al problema e restituire dignità e lavoro ai sardi nel termine di 48 ore.

È trascorso qualche giorno e la soluzione fulminea non è arrivata. O meglio, la ricetta proposta all'esito del Tavolo di confronto al Ministero dell'Interno alla presenza, tra gli altri, di Centinaio (Ministro dell’Agricoltura), e culminata con la proposta di fissare per l'intanto il prezzo del latte a 70-72 centesimi al litro in aggiunta al conferimento di 44 milioni di euro per il ritiro di 67.000 quintali di forme di formaggio Pecorino Romano in eccedenza, non è affatto piaciuta agli interessati, giacché ciò che i pastori sardi intendono perseguire nell'immediato, a prescindere dalle ragioni e dai torti, è portare il prezzo del latte ovino al costo di un euro più iva.

Il motto sembra essere "ora o mai più". E quale miglior momento, se non quello contingente così prossimo all'impegno del 24 febbraio, per costringere gli esponenti di Governo e la Politica tutta a piegarsi alle istanze avanzate! Nulla quaestio, se solo non fosse che, minacciare, come di fatto i pastori hanno minacciato, di bloccare il voto in Sardegna nell'ipotesi di mancato intervento risolutivo, significa ricattare gli esponenti politici minandone la loro libertà di azione e condizionandone l'attività in cambio di un voto. Il che appare, a dir poco, oltremodo inaccettabile come pure inaccettabile è assecondare questo andamento perché significa condividerlo.

Una cosa però è certa, e di questo anche i pastori, con loro buona pace, debbono tenere conto nel portare avanti questa protesta. Il problema non riguarda solo i pastori sardi ma, in varia misura, gli italiani tutti. Non è emerso all’improvviso, ed è anzi risalente negli anni, e si è più o meno accentuato in ragione delle politiche di volta in volta praticate molto spesso anche compiacenti nei loro confronti. Non a caso la Corte di Giustizia Europea ha di recente condannato l’Italia per essere venuta meno agli obblighi relativi al c.d. prelievo supplementare agli allevatori per la produzione di latte in eccesso rispetto alla quota nazionale.

In buona sostanza, e detto altrimenti, l'Italia è venuta meno all'obbligo di recuperare dai responsabili, individuati nei singoli produttori che avevano consapevolmente determinato il superamento della produzione, una cifra pari a circa 1,34 miliardi a titolo di multa sulle quote latte nel periodo tra il 2005 e il 2009 (all'epoca il Ministro dell'Agricoltura guarda caso era Zaia, leghista, il quale aveva impedito ad Equitalia di riscuotere le somme evase). Ciò significa che ora lo Stato dovrà provvedere al recupero delle somme ridette proprio nei confronti di quegli allevatori e se non lo farà, la Commissione, avvierà un nuovo procedimento. Le quote (abolite nel 2015), è bene dirlo, rappresentavano un limite alla produzione di latte che ciascun allevatore in territorio comunitario era tenuto a rispettare. Il superamento del limite di produzione determinava l'applicazione ai singoli produttori di una tassazione per ogni chilogrammo di latte in più prodotto rispetto al limite, detto Prelievo Supplementare appunto, introdotto dal regolamento 856/1984. Le quote, benché non amate dai professionisti del settore, avevano lo scopo precipuo di evitare che la produzione di latte divenisse eccessiva e conducesse proprio a cali nel prezzo della vendita alla stalla con conseguente calo di profitto per gli stessi allevatori.

Morale della favola? Forse chi troppo vuole nulla stringe.

Ma, anche a voler prescindere da quanto appena detto, a mio modesto modo di vedere, non è il caso, da una parte, di cercare di placare gli animi dei pastori proponendo soluzioni di comodo utili solo a favorire il consenso elettorale e, non è il caso dall’altra, di pretendere soluzioni illico et immediate su una questione così delicata e complessa. Non è un gioco a chi cede prima. E certamente, l'atto di riversare il latte per le strade, lungi dal poter essere considerato come un gesto di forte disperazione, costituisce, dal mio punto di vista, la più inaccettabile mancanza di rispetto per il proprio lavoro e per i suoi frutti: un gesto plateale da palcoscenico ma non disperato. La questione latte va affrontata con serietà giacché è comunque innegabile che le dinamiche del mercato abbiano completamente preso il sopravvento sulla nostra povera economia regionale. E la trasformazione del latte ovino in Pecorino Romano, solo per rispondere alla domanda del mercato estero, ha completamente mortificato la produzione locale.

Al fine di risolvere il problema, sarebbe necessario predisporre interventi mirati a restituire dignità al nostro prodotto, ricchissimo sotto il profilo nutrizionale anche e soprattutto per la qualità dei pascoli. Certo non è semplice, perchè misure in tal senso presuppongono il non dover sottostare ad un prezzo uniforme del latte e il rifiutare la miscelazione dei latti di raccolta al fine di consentire la diversificazione della produzione e la successiva commercializzazione a costi dignitosi rapportati alla effettiva qualità del prodotto.

Ma perché non provarci? L'obiettivo dei pastori non dovrebbe essere quello di chiedere soldi e/o incentivi, i quali rappresentano solo un palliativo utile nel breve periodo ma inutili a risolvere il problema. L'obiettivo deve essere quello di ottenere i ridetti interventi diretti a garantire il giusto prezzo del prodotto rapportato alla qualità del medesimo attestata da uno specifico disciplinare.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato - Nuoro)
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