Pubblichiamo oggi l'analisi del giornalista Mario Sechi, che trova dei parallelismi inquietanti tra l'attuale politica inglese e italiana: uno su tutti, l'incomprensione della realtà.

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La Storia presenta sempre delle scelte ai suoi protagonisti. C'è un mazzo di carte, se ne sceglie una e si vede che gioco fanno gli altri. Si suppone che la scelta sia ponderata e i protagonisti (volontari e involontari) pensano di stare al tavolo seguendo una logica. Spesso non è così e arrivano quelle che si chiamano conseguenze inattese.

Chi ha un po' di confidenza con i libri di storia sa che siamo immersi in un periodo ad altissima densità e rischio, ha la sensazione netta che stia per accadere qualcosa.

Sul mio tavolo c'è un libro di Ian Kershaw intitolato "Scelte fatali", un volume sulle mosse che i capi di Stato fecero tra il 1940 e il 1941, gli atti che poi condussero al conflitto totale. Come ricorda Kershaw "quella guerra - la più orribile della storia - ha assunto in gran parte il suo aspetto da un certo numero di decisioni fatali prese dai capi delle maggiori potenze mondiali nel giro di soli diciannove mesi, tra il maggio 1940 e il dicembre del 1941".

Bisogna saper scegliere bene prima, perché il dopo sarà infine già scritto. Lo scenario politico europeo è in una situazione in cui c'è chi sta sbagliando prima e pretende di spiegare il dopo anche quando i suoi errori sono evidenti. Il caso inglese e quello italiano stanno andando esattamente nella direzione delle decisioni fatali. E le colpe sono ben distribuite e non univoche come pretendono di fare quelli che scrivono la storia prima che questa sia compiuta. Ci sarà tempo e modo per valutare la loro opera, alla fine la Storia non mente.

Il primo ministro inglese Theresa May (foto Ansa)
Il primo ministro inglese Theresa May (foto Ansa)
Il primo ministro inglese Theresa May (foto Ansa)

La Brexit è il detonatore della nostra crisi contemporanea, quella dell'Occidente. Scoppia non a caso a Londra, patria del capitalismo (qui vi è sepolto anche il suo più importante critico, Karl Marx) e si propaga sempre non casualmente a Washington (Trump) e Parigi (Macron), le città delle rivoluzioni e della libertà. L'Unione europea di fronte a questa ondata che ha origini lontane (1990-2008, ascesa e declino della globalizzazione) avrebbe dovuto affrontare la Brexit e il caso inglese con grande delicatezza, ma è entrata in sala operatoria con l'ascia e agitandola ha costretto - di questo si tratta - la premier Theresa May a bere la cicuta di un accordo che è troppo oneroso e umiliante per gli inglesi.

Ecco perché oggi tra conservatori e laburisti c'è un solo punto che li unisce: l'accordo tra Londra e Bruxelles è inaccettabile per uno Stato sovrano. Parliamo dell'Inghilterra, un ex impero. E lo scrivono perfino i giornali di riferimento della business community (Financial Times), cioè coloro che più di tutti vogliono scongiurare l'hard Brexit. Siamo vicini a un punto di rottura, a conseguenze inattese frutto di decisioni fatali che sono maturate e proseguono in queste ore travagliate, ma con ancora qualche speranza.

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella (foto Ansa)
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella (foto Ansa)
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella (foto Ansa)

La stessa matrice - Lo scontro tra la Commissione Ue e il governo italiano ha la stessa matrice culturale. La Ue applica all'Italia - paese fondatore dell'Unione, terza economia dell'Eurozona - la sua logica economica senza guardare alla sostanza politica del problema che si presenta con l'Italia: lo scenario anticipato dell'Europa dopo il voto di maggio 2019. Questo quadro c'è già in Svezia (dopo il voto non riescono ancora a formare il governo), si sta profilando in Germania (la Grosse Koalition è in panne), c'è una profonda crisi di consenso per Macron in Francia, una crisi di carattere costituzionale in Spagna (vedere alla voce Catalogna), uno Stato tenuto in vita in maniera artificiale in Grecia (vedere cosa sostiene il Fondo monetario internazionale). I parlamenti prima diventano zoppi, poi vengono conquistati dai partiti nazional-populisti o da forze anti-sistema che sostituiscono quelle tradizionali.

Nonostante questi bagliori giganteschi, la Commissione Ue e l'Italia non trovano alcun punto di incontro. Bruxelles prepara la procedura d'infrazione contro il governo di Giuseppe Conte, lo spread si alimenta delle chiacchiere in libertà di tutti, a Palazzo Chigi Di Maio e Salvini litigano sui... termovalorizzatori. Chi guida la politica europea dovrebbe sapere a cosa condurrà il muro contro muro con l'Italia. Ma anche in questo caso l'atteggiamento è quello di chi sa di essere in posizione di supremazia e imporre delle scelte. Come abbiamo visto finora, così non è, per la semplice ragione che in Italia c'è un governo non solo di segno, ma di natura completamente diversa rispetto al passato.

GUAI AI VINTI - Ancora una volta, siamo di fronte a un deficit non contabile, ma di lettura storica. Il caso è quello del vincitore di una guerra che messo in posizione di assoluto vantaggio decide di infierire sul vinto. Così si sta comportando la Ue nel caso inglese e italiano. Le parti di un contratto sono due. E devono incontrarsi. È sempre la storia a spiegarci cosa accade. Così dalla Seconda guerra mondiale torniamo indietro e passiamo alla Prima guerra mondiale, alla disastrosa pace di Versailles del 1919 in cui le nazioni vincitrici strangolarono la Germania con le sanzioni. Il risultato fu l'avvento di Hitler e un'altra guerra ancora più sanguinosa.

Il caso inglese e il caso italiano stanno correndo in parallelo, stessa rotta di collisione. Le decisioni fatali dell'Unione europea e dei governi di Londra e Roma preparano un gigantesco big bang della politica europea. Sono ancora in tempo a fermarsi? Certamente, ma bisogna ricordare che nella storia ci sono fatti e direzioni di marcia che a un certo punto appaiono ineludibili. Così oggi la hard Brexit diventa un rischio concreto e una crisi finanziaria dell'Italia una faccenda maledettamente seria. Questi due fattori, combinati, possono creare un guaio ancor più grande, una singolarità, la rottura della Ue e dell'Eurozona.

IL MONITO DI MATTARELLA - Torniamo alla domanda sul taccuino: che fare? Sergio Mattarella dalla Svezia ha pronunciato un discorso che centra il punto, ecco il passaggio chiave. L'Europa vive oggi una fase complessa. Una situazione nella quale le sollecitazioni e le scosse che l'edificio comune deve assorbire sono intense. Nessuno dei padri fondatori negò mai che il percorso di integrazione potesse essere faticoso e, anzi, uno dei fondatori, lo stesso Jean Monnet, teorizzò come il progredire della costruzione europea fosse legato proprio alla sua capacità di superare le crisi.

Se è questo lo spirito, allora è dirimente un chiarimento introspettivo sulla direzione di marcia che i popoli europei intendono percorrere: il Trattato di Lisbona, nel suo preambolo, pone esplicitamente l'obiettivo di creare una Unione sempre più stretta tra i popoli d'Europa, le cui decisioni vengano assunte il più vicino possibile ai cittadini, secondo il principio di sussidiarietà. Non siamo, cioè, una semplice unione doganale, non siamo una sorta di comitato d'affari.

La crisi economico-finanziaria ha caratterizzato il decennio trascorso, con pesanti riflessi sulle popolazioni. Ad essa si è sovrapposta un'ondata migratoria verso l'Europa di dimensioni notevolissime, mentre, all'interno dell'Unione, il Regno Unito decideva di abbandonare il percorso di integrazione. Diversità di sensibilità, accentuatisi tra i membri dell'Unione, hanno visto emergere sentimenti di lontananza dei cittadini europei rispetto alle istituzioni comunitarie. Quando il Presidente dice che l'Europa "non è un comitato d'affari" non solo ha pienamente ragione, ma richiama il necessario primato della politica.

DIBATTITO SURREALE - Questo suo prezioso intervento si scontra poi con la realtà. Il surreale dibattito sul bilancio italiano, tutto improntato sui modelli econometrici, sui penosi scambi di lettere tra sordi commissari europei e muti rappresentanti del governo italiano, e non su una valutazione del nuovo scenario politico italiano (e europeo, perché è successo qualcosa ovunque) e sulla situazione reale che vivono i suoi cittadini (povertà e distribuzione del reddito).

Naturalmente vi sono le colpe e irresponsabilità della politica interna, dei governi. Nel caso inglese la scelta sciagurata di David Cameron e del suo governo sul referendum, la totale incomprensione - per distanza dalla realtà da parte del club dell'Eton College che guidava Downing Street - dello scenario che si stava profilando (e bastava parlare con un tassista a Londra), la campagna forsennata dei Brexiteers che prometteva quello che non poteva mantenere (l'exit facile come bere un gin martini e goodbye Brussels), la crisi di indentità del Labour sconfitto nel voto.

E nel sottosopra italiano abbiamo invece un cocktail ad alta gradazione: due giovani leader in eterna diretta Facebook, un partito di governo (la Lega) e un non-partito di non-governo (i Cinque Stelle), con la stramba idea che tutto sia "del popolo", ma senza definire poi bene che cosa sia mai il popolo. Un Parlamento dove manca la sintassi elementare, un rapporto con le istituzioni a dir poco lunare con i ministri che alzano il pugno e non è neppure Cheguevarismo ma una cosa pallonara, un'opposizione prigioniera di leadership consumate dalla storia e dal tempo, una manovra che con l'ansia di non togliere niente a nessuno butta 10 miliardi negli 80 euro e non si sa ancora bene quanti in un reddito di cittadinanza che potrebbe rivelarsi una voragine.

IL RISCHIO DEL COLLASSO - Questo carro di Mangiafuoco però si muove con un consenso mai visto prima per la semplice ragione che dal 4 marzo niente è come prima. Ma per governare non bastano le intuizioni (e ne hanno avute) sullo scenario politico, servono esperienza, equilibrio, moderazione istituzionale e in quel gruppo per ora hanno dimostrato di avere queste doti solo i leghisti, per altro a corrente alternata.

Regno Unito e Italia sono due pianeti che stanno andando dritti verso un buco nero, quello dell'Europa, che a sua volta rischia il collasso.

Mario Sechi

newslist.it

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