Si può fare satira attraverso la rappresentazione di una sofferenza reale? Riportiamo la riflessione dell'etnografo Dafni Ruscetta sull'intervento - da molti criticato - di Beppe Grillo sull'autismo.

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Qualche anno fa mi ritrovai con Beppe Grillo a percorrere la Sardegna in auto, era il primissimo periodo dell'ascesa politica di quel movimento che ora governa il Paese.

Ho un bel ricordo di quella giornata, perché mi rivelò la profondità del personaggio, la serietà degli intenti in una fase in cui si cercava di costruire una alternativa al malcostume e alla gestione superficiale della politica italiana.

Dopo qualche tempo il mio impegno e il mio entusiasmo per la politica è venuto un po' meno, soprattutto per la distanza che ho avvertito verso alcune posizioni quasi "dottrinarie" all'interno di quel contesto.

L'episodio di alcuni giorni fa relativo all'intervento di Grillo dal palco del Circo Massimo, sull'autismo, è illuminante. Nei giorni successivi mi sono informato, ho seguito la vicenda sui media e sui social network. Ho quindi cercato di comprendere le ragioni di chi ha giudicato con sdegno quelle parole, ma anche le argomentazioni di coloro - perlopiù rappresentanti o fan del Movimento - che invece hanno difeso la performance.

Da questi approfondimenti mi è parso chiaro, come ormai avviene da mesi, che siamo di fronte a una polarizzazione netta nell'opinione pubblica, a due narrazioni opposte; questa contrapposizione all'interno della società civile italiana è il segno di una crisi culturale di lungo periodo. Ho letto e riletto quelle parole e la successiva autodifesa del comico genovese.

Lavoro da diversi anni nel campo dell'autismo, conosco il tema, la sofferenza e le vicissitudini di chi ha a che fare quotidianamente con quel problema.

Un problema talvolta vissuto come dramma da alcune famiglie. Ciò che non mi convince dell'intervento di Grillo è l'accostamento di quel mondo a un contesto (politico e intellettuale) descritto in termini spregiativi, come chi non ha la capacità di mantenere un contatto con la realtà.

È vero, come afferma lo stesso Grillo, che la satira si serve della "chiave metaforica" per descrivere qualcos'altro, ma ciò non può avvenire attraverso la rappresentazione di una sofferenza reale, tanto meno se lo si fa durante una kermesse in cui si celebra un percorso politico che si vuol far passare come alternativa virtuosa all'esistente.

Il "politically correct", è vero, non è quasi mai prerogativa della satira, ma le coscienze - anche quelle meno esigenti - non possono arrendersi a un vocabolario (a cui spesso corrispondono un pensiero e poi delle azioni) che giustifichi qualsiasi indecenza lessicale.

Su molti profili social d'altra parte, come spesso accade, ho perlopiù notato posizioni tipiche di un "fideismo" che non ammette critiche, di una "dottrina" che individua nel giudizio ostile un tentativo di delegittimazione, usando costantemente vittimismo e complottismo come unici strumenti di analisi.

Ricordare che in più occasioni Beppe Grillo ha sostenuto pubblicamente le ragioni delle associazioni dei familiari di bimbi autistici non è sufficiente. Non basta la buona fede, anche nella satira, occorrono esempi da imitare, soprattutto se chi pronuncia quelle frasi è l'ispiratore ideologico, quasi spirituale ("l'Elevato" come qualcuno scherzosamente lo definisce all'interno del Movimento) della maggiore forza politica del Paese, che ambisce vieppiù a governare in tutti i livelli istituzionali.

L'autismo, come tante altre sofferenze, andrebbe trattato con la delicatezza della poesia, della musica, non con il cinismo della satira.

Della mia infanzia ricordo un episodio significativo: mia madre che dava uno schiaffo a mio fratello mentre imitava scherzosamente un bambino disabile per provocare l'ilarità dei presenti. Mi è bastato quell'insegnamento per prendere una posizione sulle parole di Grillo.

Dafni Ruscetta

(Etnografo)
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