Se c'è un gusto che identifica Olbia è quello delle cozze: crude quando si può (raramente) o semplicemente alla marinara (per gli estimatori, rigorosamente senza limone), gratinate o con gli spaghetti, alla tarantina o con i fagioli come li proponeva l'indimenticabile Rita Denza nel suo ristorante Gallura. E né si potrebbe immaginare il golfo interno senza le boe blu che hanno sostituito i vecchi pali. O una canzone alternativa a "S'Indattaraiu", di Tony Derosas, per celebrare l'olbiesità nell'immagine dell'alba che illumina Tavolara quando i contadini del mare iniziano il loro duro lavoro nei filari dove cresce s'indattaru (in olbiese, le cozze). Eppure è solo da cent'anni che le acque del golfo ospitano gli allevamenti di cozze.

LA STORIA I primissimi mitilicoltori, che hanno installato impianti di produzione su palo nel golfo di Olbia (all'epoca ancora Terranova) in realtà sono arrivati nel 1918 da La Spezia ma la prima vera concessione risale al dicembre 1920 per iniziativa di Raffaele Bigi, capostipite della più nota famiglia di imprenditori del settore. La successiva espansione vede come protagoniste le famiglie tarantine che qualche anno dopo hanno portato in città la ricca esperienza maturata nella terra di origine. Famiglie che ricopriranno poi un ruolo importante nel tessuto sociale della città. I primi mitilicoltori avevano compiuto un'indagine esplorativa delle acque del golfo, riscontrando che le caratteristiche, di profondità, estensione e riparo dai venti, erano assai simili a quelle delle zone dove l'allevamento di mitili e ostriche aveva tradizioni antichissime. Un ruolo fondamentale era svolto (allora, e in parte anche ora) dal fiume Padrongianus che scaricava l'acqua ricca di nutrimento nel golfo. Un equilibrio, quello tra acqua dolce e salata, caratteristico del gusto delle cozze di Olbia.

Decisa l'ubicazione degli impianti, vennero acquistati i cordami in Campania, i pali in castagno in Sardegna e la piantagione acquatica prese corpo dando vita a quel tipico paesaggio che ha caratterizzato fino a pochi anni fa alcuni tratti di mare: una fitta ordinata rete di pali disposti a scacchiera ed emergenti dall'acqua , carica, nell'ultima fase della coltivazione, di grappoli bruno-violacei sospesi. Anno dopo anno la mitilicoltura è divenuto un settore importante di attività per Olbia, poi è arrivato il drammatico stop della seconda guerra mondiale quando i bombardamenti colpirono anche gli impianti. Alla fine del conflitto, gli imprenditori si misero all'opera e rimisero in piedi gli allevamenti a nord e nel settore meridionale del golfo, tra l'isola Manna e lo scoglio di Mezzo Cammino per poi allargare gli impianti anche ad altri settori del golfo: nel 1951 interessavano già uno specchio d'acqua di 125.632 mq. che, due anni dopo, passeranno a 133 mila con quattro aziende attive, e un centinaio di addetti stabili che raddoppiavano durante la stagione. In breve Olbia sarebbe diventata sede di uno degli allevamenti più importanti e le sue cozze un prodotto identitario presente in tutti i mercati. Nel 1960 quello olbiese è uno dei principali distretti mitilicoli nazionali e uno dei più grandi esportatori con una produzione che si aggirava sui 30.000 quintali per raggiungere dagli anni Settanta in poi i 40.000 che è la produzione media odierna.

OGGI La storia delle cozze di Olbia è anche una storia di famiglie, ai Bigi e ai tarantini, si sono aggiunti i sardi, spesso in origine dipendenti, e i cognomi di oggi sono gli stessi degli anni Sessanta. Ed è anche una storia di cooperazione, la prima cooperativa, la Sacim, nasce nel secondo dopoguerra, la Cimo nel 1949. Per metterle insieme, anche con l'obiettivo di un marchio di origine, ci sono però voluti molti anni. Oggi diciotto aziende della mitilicoltura olbiese sono riunite nel Consorzio dei molluschicoltori di Olbia impegnato nella valorizzazione del prodotto. Il Consorzio (che coltiva anche arselle, ostriche e bocconi), presieduto da Raffaele Bigi, nipote del capostipite, sta ultimando la registrazione del marchio collettivo, che, al pari dell'IGP, consente l'inserimento dell'indicazione geografica, con certificazione di filiera. Il marchio certificherà la cozza di Olbia, prodotta e coltivata in tutte le sue fasi nelle acque del golfo. Una certificazione già ottenuta da singole aziende con un ciclo di produzione che dura due anni per un prodotto che resta sul mercato da maggio a ottobre, secondo la naturale stagionalità. I produttori hanno messo in cantiere anche un progetto di controllo autonomo delle acque in cui vengono prodotti i mitili e per monitorare la qualità del mare, la presenza di ossigeno e di inquinamento fecale, ai punti di controllo delle Assl e dell'Istituto zooprofilattico, il Consorzio ha aggiunto quelli sorvegliati dal laboratorio Bio Lab, il primo, a Olbia, a possedere l'accreditamento ministeriale Accredia. Un sistema per garantire la qualità dei prodotti, prevenendo i danni, ma anche per stabilire dei parametri - da conservare in banca dati e consultabili da tutti - per salvaguardare le produzioni.

LE FESTE La storia e la tradizione della mitilicoltura ad Olbia è stata celebrata nell'esposizione Mytilus con foto d'epoca e strumenti originali del lavoro. La festa per il centenario era prevista per quest'estate, la stagione delle cozze, ma è stata rinviata a causa dell'emergenza Covid e probabilmente accompagnerà la nuova certificazione. Le cozze, del resto, sono protagoniste di tutte le feste popolari di Olbia, da quella della madonna di Cabu Abbas alla festa patronale di San Simplicio il 15 maggio quando il miglior prodotto del golfo viene offerto in onore del Santo. Un tempo alle feste si mangiavano crude. Oggi vengono cucinate semplicemente alla marinara, in una gigantesca padella, con olio, aglio e prezzemolo e offerte a centinaia di persone, olbiesi e turisti, disposti a stare in fila anche un'ora per un piatto del prelibato mollusco. Con l'augurio di "S'Indattaraiu", la canzone scritta da Tony Derosas per Armando Bigi, uno dei patriarchi della mitilicoltura: "speremus chi sia bonu e pienu, a non cumpensare bi pense Deu" (speriamo che siano buone e piene, a compensarci ci penserà Dio).
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