Cinque scodelline dalla pasta grigio-nera, plasmate da mani esperte, ben lucidate e senza nessuna decorazione. Erano lì, anonime, tra le tante altre ceramiche dai colori più chiari, diverse dal resto del vasellame decorato di origine cipriota, micenea o proveniente da altre zone del Mediterraneo orientale che gli archeologi avevano fatto riemergere da tre distinti pozzetti votivi di Hala Sultan Tekke, a sud di Cipro. Oggetti della storia scoperti durante le campagne di scavo della missione archeologica dell'Università di Gothenberg in Svezia dirette dal professor Peter Fischer e da Teresa Bürge dell'Accademia delle Scienze di Vienna.

Ci sono voluti anni per regalare una terra d'origine a quelle ciotole rimaste senza targa. Lunghe, minuziose e multidisciplinari indagini e la testardaggine degli studiosi hanno permesso di risalire alla loro origine provenienza. Ebbene, quei manufatti portavano dritti in Sardegna. Due di loro a Orroli, e precisamente al Nuraghe Arrubiu, il monumento antico su cui da anni studiano e scavano gli archeologi guidati da Mauro Perra. Solo qui era stato rinvenuto il tipo di impasto usato per le ciotole di Cipro, costituite da una miscela d'argilla particolare. A indagarla e decifrarla è stata Giusi Gradoli, laurea magistrale e dottorato di ricerca in archeologia preistorica all'Università di Leicester e Geologa del Comet di Cagliari.

Scoperta eccezionale, ancora tutta da approfondire. Un ritrovamento, questo di Hala Sultan Tekke, che vale la pena ricostruire.

Per anni gli archeologi coordinati da Peter Fischer e Teresa Bürge guardavano e riguardavano le cinque scodelline misteriose, finché l'anno scorso Fischer decise di mostrarle ad un'archeologa italiana che lavorava nella sua stessa università, Serena Sabatini. Iniziò così la loro storia. L'archeologa ci mise cuore e testa, decisa a dare risposte alle tante domande irrisolte. Cercò in tutti i libri di ceramiche italiane e non trovò niente di simile. Poi decise di consultare Fulvia Lo Schiavo, già soprintendente archeologa per le province di Sassari e Nuoro che riconobbe subito, insieme al suo collega Mauro Perra, la forma tipica sarda di quei manufatti.

A Fischer non bastava, abituato com'è a lavorare con i più moderni metodi dell'archeologia tecnica. Il professore chiedeva uno studio petrografico e tecnologico degli impasti ceramici delle scodelline rinvenute a Cipro. Fu Lo Schiavo a rivolgersi a Giusi Gradoli che, sotto la guida di una dei massimi esperti di ceramiche dell'intero mediterraneo, Ian Whitbread dell'Università di Leicester in Gran Bretagna, aveva studiato durante il suo dottorato di ricerca in archeologia in quell'Università gli impasti ceramici e la tecnologia di produzione e di cotture delle ceramiche nuragiche della Sardegna. La strada era tracciata, bisognava percorrerla.

"Il professor Fischer mi contattò e mi chiese di guardare le foto scattate al microscopio polarizzatore degli impasti delle 5 scodelline rinvenute a Cipro", racconta Gradoli. "All'inizio ero un po' scettica sulla possibilità che dalla Sardegna nuragica e, in particolare durante il Bronzo recente, vale a dire tra il 1350 e 1200 avanti Cristo questi manufatti nuragici potessero essere arrivati, tramite scambi e rotte marittime complesse, sino a Cipro. Ma quando iniziai ad osservare attentamente le foto riconobbi subito alcune caratteristiche a me familiari. Comunicai al professor Fischer e agli altri colleghi la mia ipotesi, ovvero che le ceramiche potevano essere sarde ma che avrei avuto bisogno di vederle dal vivo, soprattutto sotto diverse condizioni di luce polarizzata".

In Israele, all'Università di Haifa, erano state preparate le sezioni sottili delle ceramiche per lo studio microscopico. "Pochi giorni dopo, assieme a tanti altri colleghi di questa Università, abbiamo iniziato a confrontare le mie sezioni sottili delle ceramiche sarde con quelle rinvenute ad Hala Sultan Tekke. Oltre all'analisi petrografica di confronto, abbiamo eseguito nuove analisi chimiche non distruttive che hanno confermato la reale provenienza dalla Sardegna", rivela Giusi Gradoli. "Le analisi per attivazione neutronica fatte al Centro nucleare dell'Università di Vienna sulle scodelline rinvenute a Cipro mostrarono come gli impasti fossero diversi e soprattutto estranei alla composizione chimica e geologiche delle rocce rinvenute localmente, che di fatto, hanno una genesi completamente diversa da quelle che si rinvengono in Sardegna".

Occhi puntati sui dettagli. Sui minerali presenti nell'impasto e le loro associazioni. «I minerali presenti in due delle scodelline erano gli stessi e nelle stesse proporzioni dei 21 campioni di ceramica grigia nuragica da me studiati in passato al Nuraghe Arrubiu. Al momento questo tipo di impasto, nell'Isola, è stato rinvenuto solo al nuraghe di Orroli perché deriva dalla miscelazione naturale di due tipi di rocce diverse tra le più antiche rinvenute in Sardegna che sono state trasportate e rimaneggiate in ambiente marino e si sono poi depositate nella posizione attuale durante una successiva era geologica. Questo è un fatto così specifico che rende le ceramiche grigie di Orroli un unicum tra gli altri impasti studiati nei diversi siti nuragici».

Le due scodelline rinvenute a Cipro di forma, impasto e composizione mineralogica identica a quelle sarde erano state attribuite alla produzione ceramica specialistica del Nuraghe Arrubiu. «Restavano da individuare gli impasti delle altre due (la terza scodellina non era stata analizzata perché completa). Abbiamo riconosciuto la presenza di una roccia vulcanica che, però, aveva un'alterazione talmente particolare che era stata da me osservata, almeno finora, solo nelle ceramiche provenienti dal Nuraghe Ortu Comidu di Sardara e al Su Nuraxi di Barumini», racconta l'archeo-geologa Giusi Gradoli.

Gli scavi a Cipro continueranno ora con la collaborazione della studiosa cagliaritana e dell'archeologo Mauro Perra. mentre i risultati di questa prima fase dello studio saranno pubblicati tra breve sul Journal of Archaeological Science.

"Il Mediterraneo nell'età del bronzo è un continente liquido nel quale i popoli che abitano le sue sponde si conoscono e si frequentano per scambiare prodotti, materie prime e idee sul loro mondo. La Sardegna, e il nuraghe Arrubiu di Orroli in particolare, partecipano a questo fervore di contatti alla pari con le altre comunità, sentendosi protagonisti di un periodo di floridezza economica e culturale che non a caso è stato definito come il primo fenomeno di vera e propria globalizzazione", spiega Mauro Perra. "Siamo fra il XIV ed il XII secolo avanti Cristo, quando la civiltà nuragica vive il suo momento di maggior prosperità che si manifesta nelle opere grandiose come i nuraghi, le tombe di giganti e i santuari, ma anche nelle testimonianze di oggetti che provengono d'oltremare. Mentre fino a pochi decenni fa la presenza di reperti "esotici" e di pregio in contesti nuragici veniva identificata sulla base di approcci che possiamo definire intuitivi, oggi, grazie all'ausilio di scienze come la geologia, la fisica e la chimica, questi oggetti ci indicano con esattezza la loro provenienza".

Nel nuraghe Arrubiu già gli scavi delle prime fasi d'indagine archeologica negli anni '80, guidati da Fulvia Lo Schiavo e Mario Sanges, rivelarono contatti con la regione del Peloponneso, bagnata dalle acque del mare Egeo. Un vasetto fatto al tornio e dipinto con fasce rosse, che gli archeologi che studiano la Civiltà Micenea definiscono "alabastron", fu rinvenuto negli strati di fondazione del bastione pentalobato».

Gioisce, il sindaco di Orroli Antonio Orgiana, per questa scoperta che mette in contatto il nuraghe Arrubiu con Cipro. "Sono molto soddisfatto dei risultati ottenuti dalle analisi petrografiche, chimiche, geologiche sulle ceramiche e sui reperti metallici e vitrei rinvenuti durante le diverse campagne di scavo del Nuraghe Arrubiu che abbiamo finanziato come amministrazione comunale. Il fatto che le genti che abitavano il Nuraghe Arrubiu avessero la capacità di produrre manualmente ceramiche con una tecnologia così avanzata, apprezzata anche dall'altra parte del Mediterraneo, mi riempie d' orgoglio e mi fa capire quanto ancora ci sia da studiare sul campo".
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