La grandezza di quell'uomo è ormai universalmente riconosciuta: tutto il mondo considera Antonio Gramsci una delle mente più illuminate del secolo scorso. Ma non tutti sanno che, oltre a essere stato un immenso politico, filosofo, politologo, linguista e critico letterario, Antonio Sebastiano Francesco Gramsci (questo è il nome con il quale fu registrato nel certificato di battesimo) fu anche un maestro di giornalismo. E ancora meno persone sanno che la carriera da giornalista cominciò nelle pagine de L'Unione Sarda. Il suo primo articolo, da corrispondente da Aidomaggiore, fu pubblicato quando non aveva ancora vent'anni, il 26 luglio 1910.

E già il titolo sembra essere premonitore di quello che accadrà nel suo futuro: "A proposito d'una rivoluzione". A distanza di 110 anni vale la pena rileggere quello che il giovanissimo Gramsci scrisse da quel remoto paesello dell'Oristanese. "Nei paesi circonvicini si era sparsa la voce che ad Aidomaggiore per le elezioni dovessero succedere fatti grandi e terribili. La popolazione voleva introdurre tutto d'un tratto, il suffragio universale, cioè eleggere consiglieri e sindaco plebiscitariamente e sembrava pronta ad ogni eccesso. Il tenente dei carabinieri di Ghilarza, cav. Lay, seriamente preoccupato per questi sintomi, fece arrivare un intero corpo d'esercito, 40 carabinieri, e 40 soldati di fanteria, meno male senza cannoni, e un delegato di p. s. (sarebbe bastato da solo). All'apertura delle urne, il paese era deserto; elettori e non elettori, per il timore dell'arresto, si era squagliati e bisognò che le autorità andassero di casa in casa a stanare i restii. Insomma, la più graziosa burletta del mondo, dovuta certo all'esperienza del giovanissimo tenente, non ancora ben pratico del carattere di queste popolazioni. Poveri mandorleti di Aidomaggiore! Altre che filossera sono i soldati di fanteria!".

L'inizio di una carriera che Gramsci considerò importante. Tanto importante da rivendicarla come suo lavoro. Dopo l'arresto da parte dei fascisti, fu interrogato, il 9 febbraio 1927, nel carcere di Milano. "Sono - si legge nel verbale dell'interrogatorio - e mi chiamo Antonio Gramsci, pubblicista ed ex deputato al Parlamento". Giornalista, dunque, prima ancora che ex deputato.

Non potrebbe essere altrimenti dal momento che il contributo dato dal pensatore di Ales al giornalismo italiano fu enorme: fondò "L'Ordine Nuovo" (indimenticabile, in questo giornale, il suo invito agli operai torinesi: "Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza, agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo, organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza") e "L'Unità". E collaborò con una decina di giornali tra i quali "La Città futura", numero unico della Federazione giovanile socialista piemontese, e "Energie nove", quindicinale diretto da Pietro Gobetti. Ma i suoi articoli, di commento, di critica teatrale e tanti altri argomenti, sono comparsi anche sul "Corriere Universitario", su "L'Avanti", sul "Grido del popolo", su "Avanguardia". Solo alcuni esempi. "In dieci anni di giornalismo", racconta in una lettera inviata a Tatiana Schucht dal carcere di Turi, "io ho scritto tante righe da poter costituire 15 o 20 volumi da 400 pagine". E altre se ne aggiunsero nei "Quaderni dal carcere": 39 note sono dedicate proprio al giornalismo.

Certo, fu un giornalista militante (anzi, per usare la sua definizione, giornalista integrale). Ma, soprattutto, un maestro di giornalismo. "Prima di iniziare a scrivere", spiegava, "bisogna predisporre uno schema e domandarsi cosa sia veramente importante". Non solo: allenava il suo collaboratore Andrea Viglongo a scrivere articoli al massimo di una colonna e mezzo.

Un giornalismo che non vuole soddisfare solo i bisogni di una certa categoria del suo pubblico ma vuole creare e sviluppare questi bisogni in modo ad spingere il pubblico stesso a estenderne l'area. Un maestro capace di scindere la valutazione tecnica della professione dal giudizio etico su un personaggio. Addirittura, quando "L'Ordine nuovo" decise di realizzare un'inchiesta sul fascismo, Gramsci, allora a Vienna, scrisse una lettera a Mauro Scoccimarro, suggerendo di inserire anche l'articolo di un fascista.
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