"Dedico il premio a mio marito Alessandro e ai miei fantastici compagni di viaggio: Marta Proietti Orzella, Annagaia Marchioro, Elisa Pistis, Francesco Civile, Andrea Piras, Gianluca Demartis, Michele Pusceddu e Paolo Fresu... e poi alla mia amata Sardegna".

Susanna Mameli è a Roma, dove ha appena ritirato il Premio alla Drammaturgia del Fringe Festival per "S'Accabadora", lo spettacolo che ha scritto e diretto, per AnfiteatroSud.

Il sipario è calato e la giuria, riunita al Teatro Vascello - Manuela Kustermann, Raffaella Azim, Ferruccio Marotti, Italo Moscati, Valentino Orfeo, Pierpaolo Sepe, Ulderico Pesce, Pasquale Pesce - è entusiasta. Siamo nella tana dell'accabadora. La sua serva, mentre sistema e rassetta la stanza, racconta i fatti della padrona. Attraverso il filtro dei pettegolezzi e dell'amore-odio della serva verso la sua padrona, ecco levarsi l'immagine castigata di Antonia, ora come levadora, ora come incantadora e infine accabadora. Levatrice, donna delle medicine, donna che pone fine alle sofferenze dei moribondi, ma anche figura crepuscolare solitaria, sfuggente e schiva. Si sa che da fanciulla fu abbandonata sull'altare sotto lo sguardo armato dei fedeli. Si dice di come i fiori le si appassirono in volto, si racconta di come nessuno osò fermarla e della mano pietosa che fece cigolare la porta della chiesa, consegnandola alla luce divorante del mezzogiorno.

Il cielo bisogna guadagnarselo, e Antonia si fa serva e missionaria degli uomini in terra, affaticandosi a fare quello che nessuno vuole o ha il coraggio e la forza di fare: aiutare a nascere e morire. La "serva" e la "padrona" si cavano i peccati dall'anima con crudele affetto, uno ad uno, fino a che la serva rivela il gioco orrendo e chiede la pietà che Antonia ha sempre reso altrove. Ma per Antonia, questa volta, sarà diverso.

Il lavoro In questo lavoro l'autrice Susanna Mameli ha cercato di mettere a fuoco il lato umano e personale di una figura cosi crepuscolare e sfuggente, ma storicamente reale, come quella di "sa femmina accabadora".

Così veniva chiamata la donna che in passato, come sostengono anche gli ultimi studi sul tema, si occupava nelle comunità della Sardegna di dare non solo la vita, come levatrice, e il sollievo della guarigione, come donna di medicina popolare, ma anche la "bona morte", quando ormai la malattia non lasciava via di scampo. La fautrice tollerata di eutanasia nel passato diventa oggi personaggio di straordinaria attualità per i legami con i dilemmi etici del presente.

Così, il testo, liberamente ispirato a "Le Serve" di Jean Genet, con le scene minime ed essenziali, risolve l'azione teatrale nel rapporto tra Antonia e sua sorella, rispettivamente interpretate da Annagaia Marchioro e Marta Proietti Orzella.
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