Angelo Occone quella domenica di novembre del 1946, era davvero stanco.

Il suo lavoro di "saurrante", l'uomo schiavo che a spalla portava i sacchi di sabbia nei bastimenti ormeggiati al porto, lo aveva debilitato. Ma c'era da allenarsi per i campionati italiani di nuoto, anche se le acque del Rio Mannu di Porto Torres erano già fredde. Il ragazzo inoltre non sopportava più i rimbrotti del suo allenatore Baciccia Martellini, notissimo per essere anche un preparatore di pugili, che erano rispettati in tutta Italia. Più che un maestro Baciccia era un domatore: tiranno e indisponente, amava farsi odiare e dai suoi atleti sapeva spillare ogni goccia di energia. Perfetto quindi per ottenere dei risultati. Piscine a quei tempi nei dintorni di Porto Torres non ce n'erano.

Stavolta però Angelo aveva deciso, finalmente, di allenarsi seriamente nell'acqua dolce, per abituarsi alle gare di giugno, dove si sarebbe misurato con i più bravi nuotatori nazionali, che aveva sempre battuto nell'acqua salata. I suoi tempi, nelle varie distanze, erano strabilianti, anche se Occone, un longilineo alto due metri, con lunghe braccia simili a pagaie, era un talento assoluto per i percorsi medi. Tre mesi prima, a Ferragosto, al molo della Darsena di Porto Torres, in una staffetta di 400 metri passata alla storia, da solo aveva vinto contro i più grandi nuotatori sardi, che a differenza sua si davano il cambio ogni vasca.

Quel giorno Angelo nuotò più potente che mai, pareva scivolare sull'acqua; i suoi piedi mulinavano talmente forte che quasi non si vedevano, immersi nel piccolo cerchio bianco e schiumoso della loro scia. Alla premiazione, di fronte a migliaia di tifosi esultanti, quasi si vergognava e aveva paura a proferire parola. Soffriva in silenzio della sua cattiva istruzione; gli sarebbe piaciuto andare a scuola, ma si fermò, come quasi tutti i bambini di quell'epoca, alla terza elementare, giusto il tempo di sapere leggere e di apporre la firma nei documenti con un minimo di decenza. Quando quella mattina il nuotatore turritano s'immerse nel fiume, pensava a tutte queste cose e per reazione alla stanchezza, e a qualche umiliazione, ebbe uno scatto quasi rabbioso, mettendosi a nuotare con foga. Il suo allenatore lo rimbrottò pesantemente, intimandogli di andare più piano, altrimenti non avrebbe retto le due ore di allenamento.

Baciccia disponeva di un piccolo cronometro e di un fischietto, era vestito come un montanaro, con una cuffia imbarazzante sul capo, che gli faceva rendere lo sguardo monoculo ancora più duro. I minuti passarono in fretta. Nel finale dell'allenamento Martellini ordinò ad Angelo Occone, detto Trangetto, di eseguire due 400 metri mozzafiato, intervallati da un solo minuto di recupero. Il ragazzo quasi se li mangiò: per nulla al mondo quella mattina avrebbe potuto sorbirsi i richiami rancorosi di Baciccia. L'allenatore infatti non disse niente: il suo delfino era in piena forma. Angelo a casa si lavò con acqua fredda, tanto per cambiare. L'acqua calda, nelle case fatiscenti del centro storico di Porto Torres di allora, non l'avevano ancora inventata. Sua mamma nei giorni precedenti gli aveva fatto un bel regalo: un cappotto blu ed un abito grigio elegante. Aveva rinunciato ai suoi piccoli sfizi di donna per accontentare il suo meraviglioso figlio.

Angelo, vestito di tutto punto, sembrava un attore: il suo viso inoltre aveva i tratti delicati ed Alma, una studentessa universitaria di Sassari, quando lo vide entrare al Lido del Cavalier Piras, quasi svenne per l'emozione. Quando arrivò il momento del saluto, erano le cinque del pomeriggio. La coppia era a due passi dalla macchina di Alma, una Fiat Topolino nera, elegantissima. I due si abbracciarono, si guardarono negli occhi e con naturalezza unirono le loro labbra in un lunghissimo e tenero bacio. E poi un altro e un altro ancora, l'ultimo, ancora più travolgente.

Alma si sedette in macchina e s'involò raggiante verso Sassari. Angelo era quasi inebetito, stravolto dalla passione. Rimase fermo per un minuto ad osservare la macchina del suo amore allontanarsi. Poi tornò a casa, già pensando alla prossima domenica, alla prossima volta che avrebbe rivisto la sua amata. Fu invece l'ultima volta che i due si incontrarono. Alcuni giorni dopo, per una banale lite al porto, Angelo Occone venne ucciso da un suo collega, sopra un peschereccio ormeggiato nel molo, all'ora del pranzo. I portuali per scherzo avevano messo lui e uno dei suoi migliori amici, l'uno contro l'altro, in una piccola lotta per stabilire chi fosse il più forte del porto. Angelo stava avendo la meglio, ma gli animi si stavano riscaldando troppo. I portuali separarono i due, ma l'amico di Angelo dopo la separazione, in uno scatto d'ira, colpi di taglio con una pala il fianco del suo amico, lacerando gli organi interni.

Trasportato all'ospedale, Occone spirò dopo un giorno di agonia. Fu una terribile disgrazia. Era una triste giornata di novembre del 1946. Tutta Porto Torres pianse il mitico "Trangetto", compreso il suo allenatore Baciccia Martellini, che per tutta la vita raccontò di avere allenato un autentico prodigio, un bravo ragazzo a cui la sorte tolse tutto. Angelo aveva solo 24 anni. All'epoca della sua morte Occone era tesserato nella prestigiosa Rari Nantes di Cagliari, con la quale militò solo nelle gare ufficiali. Angelo Occone fu più volte campione sardo nei 100, 200 e 400 metri stile libero. Vinse contro chiunque e nell'acqua salata a quei tempi era imbattibile, anche per qualsiasi nuotatore italiano professionista. In mare Angelo Occone percorreva i 100 metri in 55 secondi. Voleva abbattere il muro del minuto in questa distanza in acqua dolce.

Tutti nell'ambiente giuravano che ci sarebbe riuscito: il primo italiano a farlo. Ai campionati nazionali del 1946 Occone era l'uomo da battere. Il destino non volle e ne decretò una morte prematura, ma le sue gesta rimarranno per sempre scolpite nella memoria popolare. Angelo Occone è stato indubbiamente il più grande sportivo turritano di tutti i tempi e uno dei più grandi talenti espressi dallo sport sardo. A suo nome da anni è stato intitolato il campo comunale di Porto Torres. Per la cronaca il primo nuotatore italiano a scendere sotto la soglia del minuto, nei cento stile libero, fu Carlo Pedersoli, il 19 settembre 1950. Questo nuotatore divenne in seguito famoso nel mondo del cinema col nome di Bud Spencer.
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