"Le vecchie donne di Orgosolo macchiavano di nero l'immensa piazza, i giovani in costume accendevano di verde e rosso gli austeri porticati laterali. Erano appena trascorse le 7 di una tipica mattinata ottobrina piena di sole che già piazza San Pietro aveva i colori e le voci della Sardegna".

Così l'Unione Sarda raccontava, nelle cronache dell'epoca, la spasmodica attesa della beatificazione di Antonia Mesina avvenuta a Roma il 4 ottobre 1987, trent'anni fa esatti, per volere di papa Giovanni Paolo II.

Una celebrazione che coinvolse l'intera Isola, con centinaia di pellegrini giunti a Roma dalle più diverse contrade: Orgosolo, Oliena, Dorgali, ma anche Siniscola, Bitti, Sarule, Fonni, Mamoiada, e ancora Tempio, Ozieri, Iglesias, Bosa, Sassari, Oristano e Cagliari.

Nella basilica "l'addobbo delle grandi cerimonie e una folla incontenibile" per rendere omaggio alla prima Beata fra i giovani di Azione Cattolica di tutta Italia.

Antonia Mesina
Antonia Mesina
Antonia Mesina

LA VITA - Nata ad Orgosolo nel 1919, Antonia Mesina ha raggiunto gli onori degli altari in un tempo insolitamente breve per i ritmi ecclesiastici. Il martirio ha sancito il trionfo di quella "imitatio Dei", da sempre stella polare dell'esistenza della giovane sarda.

Antonia trova sin dalla più tenera età istruzione, come spesso accadeva alle giovani dell'epoca, nella Chiesa, di cui sposa principi e regole di vita di cui la castità, e con essa la verginità, è carattere fondante.

IL MARTIRIO - La tragedia si consuma nel gelido chiarore del 17 maggio 1935, quando Antonia si inoltra nei boschi di Ovadduthai per reperire la legna necessaria alla panificazione insieme all'amica Annetta Castangia, che sarà in seguito preziosa testimone dei fatti.

Le ragazze incontrano sulla propria strada l'istinto lussurioso del ventunenne Ignazio Catgiu, che vive ai margini del paese nell'infamia di una dinastia reietta che la natura gli ha inflitto come un marchio sul corpo: Catgiu ha una gamba più corta dell'altra, e nessuna donna lo degna di uno sguardo se non per ribrezzo, o compassione.

La furia di Ignazio diviene istinto bestiale quando realizza il rifiuto di una ragazza così giovane, poco più che bambina. E a nulla vale, a frenare l'animo inferocito, la presenza della piccola Anna. L'oltraggio all'onore maschile, nella testa dell'uomo, può essere cancellando solo eliminando la causa del disonore: è così che Catgiu afferra un masso con il quale sfoga il delirio incontrollabile nel massacro di Antonia. Una lapidazione con 74 colpi inferti con lucida atrocità porta alla lacerazione del fragile corpo.

LA BEATIFICAZIONE - Antonia Mesina diviene così idolo muto e immobile dalla comunità attonita e sopraffatta dalla potenza di un male senza senso.

Sul luogo del martirio verrà poi eretta una croce con migliaia di lettere inviate al Pontefice Pio XI perché avvii la causa di beatificazione. La famiglia di Mesina dichiara il proprio perdono al disgraziato Catgiu, catturato e giustiziato nel 1937 a Nuoro, nella convinzione che la volontà di Antonia sarebbe stata onorata in un contesto di pietà e misericordia cristiana.

E nonostante i Mesina siano parenti in secondo grado della primula rossa del banditismo orgolese Graziano Mesina, fatto inzialmente taciuto dalle autorità ecclesiastiche, il processo di beatificazione si conclude il 4 ottobre 1987.

"Il suo martirio – dalle parole di Papa Giovanni Paolo II alla cerimonia di beatificazione - è anzitutto il punto di arrivo di una dedizione umile e gioiosa alla vita della sua numerosa famiglia: è stato il suo sì costante al servizio nascosto in casa che l'ha preparata ad un sì totale. [...] Il fascio di legna raccolto per fare il pane nel forno di casa, quel giorno di maggio del 1935, rimane sui monti accanto al suo corpo straziato da decine e decine di colpi di pietra. Quel giorno si accende un altro fuoco e si prepara un altro pane per una famiglia molto più grande".

(Redazione Online/v.l.)
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