S econdo molti esperti si possono utilizzare due lettere dell'alfabeto per interpretare le fasi di tracollo economico, non diversamente da quel che va accadendo qui da noi con la pandemia da coronavirus. Le lettere sono la V e la U, e mentre con la prima si indica la possibilità che ad un brutto calo segua una rapida ripresa, con la U, al contrario, si descrive una lunga fase recessiva ed una faticosa e lenta ripresa.

Nell'un caso e nell'altro - su cui oggi viene difficile fare una previsione - occorrerebbe predisporre delle misure straordinarie per la tutela delle imprese dal virus della resa, non diversamente dalle “mascherine” utilizzate dalle persone. Perché il fermo dei mercati e delle attività appare un'emergenza virale, altrettanto nociva.

D'altra parte, diversi segnali e non pochi indizi inducono a ritenere che non risulterà facile ed indolore l'uscita dalle macerie socio-economiche prodotte dalla pandemia virale. Perché quanto determinato dal coronavirus è una crisi totale, non certo settoriale che ha investito tutti i tre settori dell'economia. Non diversamente da quanto accaduto con i due conflitti bellici mondiali, nel 1914-18 e 1939-1945.

N on a caso, proprio per riportarci a quelle passate esperienze che molti di noi hanno ancora ben presenti nella memoria, viene proposto, come rimedio, un nuovo piano Marshall. Si tratta del ricordo di quello che fu, dal 1947 in avanti, lo strumento principe utilizzato per la rapida ricostruzione del nostro Paese dopo la fine del conflitto e per l'avvio del cosiddetto “miracolo economico”.

Con quella rievocazione si fa riferimento alla necessità di dover predisporre, fin da ora, un intervento straordinario che metta insieme le risorse necessarie per poter ricostruire tutto quel che il passaggio del virus avrà colpito o distrutto. Certo, non ci si sofferma molto su chi dovrà o potrà mettere quelle risorse, visto che quel piano del 1947 fu sostanzialmente un dono degli Stati Uniti ad un paese come l'Italia distrutto dalla guerra; si trattò - ricordiamolo - di un'iniezione di quasi 20 miliardi di dollari, per l'84 per cento a titolo gratuito.

Per la verità, il richiamo a quel primo piano Marshall è volto principalmente alla sua struttura pluriennale ed alla facilità e rapidità degli interventi messi in campo, prima ancora che alla quantità delle risorse disponibili. Perché il problema principale viene indicato dagli operatori del settore nel rifornire rapidamente di liquidità le imprese rimaste in debito d'ossigeno.

Aspetto, questo, che non può che riguardare anche la Sardegna, ove - secondo un acuto osservatore - le nostre imprese, che per circa due terzi sono piccole e micro, già da ora non avrebbero più di 50-60 giorni di liquidità, e se il fermo dei mercati dovesse andare avanti oltre maggio, si troverebbero del tutto all'asciutto. In difficoltà anche nel mantenere l'occupazione dei loro circa 300mila addetti. Da qui la necessità di mettere insieme, “ad horas”, degli strumenti inediti ed innovativi per assicurare la continuità delle nostre imprese. I rimedi introdotti sono diversi, ed anche interessanti ed efficaci, come l'estensione della cassa integrazione alle microaziende o il differimento dei pagamenti tributari, ma più che queste misure tampone s'avverte l'esigenza di dover salvaguardare e rafforzare il nostro patrimonio imprenditoriale. Con interventi da SOS.

A tal riguardo si è avanzata l'idea di predisporre, insieme a sostegni per investimenti, un “prestito di liquidità”, destinato in particolare alle nostre piccole e micro imprese, con scadenza a cinque o più anni e parametrato sulle necessità di cassa di almeno sei-otto mesi. Lo dovrebbero gestire le banche attraverso la dotazione di un fondo ad hoc, con risorse di UE-Stato-Regione. Dovrebbe servire segnatamente a preservare le competenze e gli organici delle nostre imprese.Certo è che questa drammatica emergenza sanitaria ci sta segnando profondamente, dandoci la consapevolezza che occorrerà disporre di mezzi e strumenti straordinari per affrontare il dopo pandemia. La parola d'ordine dovrà essere, come in quel post 1945, “ricostruire”.

PAOLO FADDA
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