M anca poco più di un mese alla chiusura dell'anno, il bilancio del 2019 per l'Italia è quello di un paese con grandi potenzialità, modesti risultati, piccole ambizioni e un'immensa crisi di fiducia. L'anno è stato letteralmente buttato via da ben due maggioranze: prima il governo giallo-verde e poi quello giallo-rosso. Cambio cromatico di un elemento, il caos è rimasto tale, fuori il verde e dentro il rosso, esce la Lega e entra il Pd. Resta il colore giallo e chi va e chi viene scopre che governare con i Cinque Stelle è una missione impossibile.

Il governo tra Di Maio e Salvini andò in testacoda su infrastrutture (Tav) e fisco (flat tax), quello tra pentastellati e dem è a un passo dal collasso su industria (l'acciaieria di Taranto), legge di Bilancio (le tasse etiche) e giustizia giacobina. Due governi, una sola faccia della medaglia: l'Italia è una nazione del G20 che corre verso l'abbandono della grande industria (l'ex Ilva da sola vale 23 miliardi di prodotto interno lordo), punisce la media e piccola impresa, considera ogni partita Iva, lavoratore autonomo, un evasore, agita come un'ascia un fisco tiranno, fa marciare sul contribuente una Stasi tributaria che ha il potere di indagare le vite degli altri (leggere i continui rilievi del Garante della Privacy sul tema) senza doverne rendere conto a nessuno. Nel 2019 abbiamo scoperto che il trasformismo è vivo e in “pochette”. Dunque Giuseppe Conte può non solo essere illustrato premier senza mai aver lui illustrato la patria, ma diventarlo ben due volte in 12 mesi, con due governi dalla missione agli antipodi. (...)

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