"Cara Unione,

emigrato - vivo e lavoro in Lussemburgo -, sono padre di una splendida bambina di 10 anni che risiede in Sardegna.

Il governo proprio ieri ha approvato il decreto che disciplinerà gli spostamenti durante il periodo delle festività natalizie. Eccezioni e deroghe verranno concesse soltanto in pochi e ben definiti casi. In particolare, per chi rientra dall'estero è previsto l'obbligo di un periodo di quarantena; lo scopo di questa misura, si dice, è quello di evitare che si ripeta quanto accaduto durante l'estate e che siano scoraggiati gli spostamenti di chi ha programmato di andare a sciare in quei paesi che hanno deciso di tenere aperti gli impianti.

Misura legittima e opportuna, che avrebbe dovuto essere adottata fin dall'estate scorsa. Mi chiedo, tuttavia, se qualcuno a Palazzo Chigi, si sia posto il problema del calvario che saranno costretti a subire i tanti lavoratori emigrati, iscritti all'anagrafe dei residenti all'estero (l'AIRE), che avevano programmato di rientrare in Italia per ragioni familiari durante il periodo natalizio.

È difficile ipotizzare (per carità, qualche caso potrebbe anche darsi) che il loro spostamento sia dovuto alle ragioni di una vacanza sulla neve. È certamente molto improbabile nel caso degli emigrati sardi.

Mi chiedo, allora, se la Regione Sardegna - la Presidenza, la Giunta ma anche il Consiglio Regionale, maggioranza e minoranza - abbia sollevato presso il Governo la questione dei tanti sardi emigrati. Eppure, spesso e volentieri - anche recentemente - abbiamo ascoltato una certa classe politica regionale eccedere in una certa retorica - parecchio infelice, a dire il vero - sugli 'emigrati sardi', che, sia ben chiaro, conservano il diritto di votare per le elezioni regionali e per quelle amministrative del loro comune di iscrizione all'AIRE.

A parte i roboanti annunci di 'passaporti sanitari', 'test obbligatorio', e quanto altro ci è toccato ascoltare in questi mesi, l'intervento della Regione sulla questione degli emigrati, e sul loro diritto di rientrare nella loro terra - così come, mi verrebbe da dire, rispetto a tutta la gestione della emergenza sanitaria - è stato inconsistente. Ora, io, come peraltro ho sempre fatto, mi adeguerò rigorosamente a tutte le norme e raccomandazioni che verranno indicate dalle autorità; fino ad oggi, a ogni mio rientro nell'Isola, ho sempre fatto un test prima di atterrare in Sardegna e l'ho ripetuto immediatamente appena rientrato a Lussemburgo. Eppure, nella circostanza delle festività natalizie, credo che sarebbe bastato poco per 'tenere dentro' il provvedimento governativo anche le esigenze degli emigrati.

Le misure ipotizzate l'estate scorsa, se attuate con rigore e disciplina, avrebbero potuto rappresentare una prima, anche se da sola non sufficiente, misura di prevenzione dei contagi e di gestione sicura degli spostamenti. Tra le tante, l'obbligo di arrivare a Cagliari con un 'test negativo' e magari di ripeterlo al momento dell'arrivo, avrebbe potuto permettere ai sardi emigrati di rientrare nell'Isola in tutta sicurezza per sé stessi e per gli altri e di evitare, se certi della propria negatività, l'obbligo della quarantena.

Onestamente lascia l'amaro in bocca vedere che la circostanza del lavoratore emigrato di rientro dall'estero nella propria terra di origine sia associata alla necessità di prevenire gli spostamenti di chi invece intendeva andare a sciare (o, nel caso di questa estate, andare a fare 'quattro salti' nelle discoteche del nord Sardegna). Associare queste due circostanze, così lontane per ragioni e bisogni che le motivano, suscita un certo disappunto e anche una certa amarezza. Qui non si tratta di voler andare a sciare, così come questa estate non si trattava di andare in discoteca.

Dispiace che la classe politica non abbia saputo cogliere queste differenze. Eppure, nel caso della Sardegna, non era difficile visto il numero, che cresce sempre di più, di sardi che sono costretti a lasciare l'Isola per lavorare.

Cordiali saluti"

Walter Tocco, di Guspini, dal Lussemburgo

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