Dunque, c'è acqua sulla Luna. La notizia, pubblicata pochi giorni fa sulla rivista specializzata "Nature Astronomy", ha scatenato enorme clamore e reazioni entusiastiche da parte degli addetti ai lavori. Eppure ci si deve intendere: non è una novità assoluta, che ve ne fosse era noto da tempo. Ma si pensava si trattasse di ghiaccio presente in crateri molto profondi e larghi chilometri, principalmente al polo sud e nelle parti sempre al buio, comunque intrappolato in minerali. O come molecola OH (anziché H2O: due atomi di idrogeno e uno di ossigeno).

Stavolta si parla di qualcosa di realmente accessibile all'Uomo. Non oceani o mari allo stato liquido nel sottosuolo, ma comunque una sostanza raggiungibile molto più facilmente (pare) e utilizzabile seppure intrappolata sotto la superficie. Una scoperta fondamentale per centrare l'obiettivo dei prossimi decenni: costruire un punto di appoggio che funga da trampolino di lancio verso altre mete ben più lontane quali Marte e lo spazio profondo, il primo vero passo verso la realizzazione di una base stabile sul nostro satellite. La Nasa ha infatti in programma il ritorno di astronauti sulla Luna nel 2024 con la missione Artemis, che dovrà trovare il luogo giusto per costruire un presidio permanente su suolo lunare e avviarne la realizzazione.

La scoperta è arrivata grazie al telescopio di nome Sofia (Stratospheric Observatory for Infrared Astronomy) sistemato a bordo di un Boeing 747 modificato (il mitico Jumbo jet) per realizzare osservazioni a quote elevatissime, dove l'assorbimento della luce infrarossa da parte dell'atmosfera terrestre è molto ridotto. L'obiettivo ha analizzato lo spettro lunare a una misura tanto ridotta da rendere impossibile confondere l'acqua con qualcos'altro. Ne sono derivati due studi. Il primo, coordinato dalla Nasa, illustra la presenza della molecola nel cratere Clavius, emisfero meridionale, uno dei più grandi in assoluto e visibile anche dalla Terra: presenterebbe una concentrazione che oscilla tra le 100 e le 422 parti per milione in un metro cubo di suolo (più o meno 33 centilitri), concentrate forse in matrici vetrose o rocciose, ma non è ancora possibile stabilire quanta davvero ve ne sia e quanta sia utilizzabile; il secondo, dell'Università del Colorado, afferma che oltre 40 mila chilometri quadrati di superficie lunare (un territorio grande circa come Lombardia e Veneto messi insieme) potrebbero intrappolare acqua sotto forma di ghiaccio dentro crateri perennemente in ombra su tutto il satellite e non solo sui poli, più freddi per posizione rispetto al Sole.

I ricercatori in questo caso ipotizzano una maggiore accessibilità all'acqua potabile (perché non intrappolata nelle microstrutture vetrose), utile per pianificare le missioni e anche come carburante per i razzi.

L'astrofisico Paul Hayne (Università del Colorado, Boulder), che col suo gruppo di lavoro ha utilizzato le immagini della fotocamera e le misurazioni della temperatura prese dalla sonda in orbita lunare Lunar Reconnaissance Orbiter della Nasa per mappare le regioni fredde del satellite, ha commentato la scoperta con entusiasmo: "Il ghiaccio è più a portata di mano di quanto si pensava. È una scoperta rivoluzionaria per l'esplorazione umana della Luna". L'acqua è fondamentale per le missioni ma lanciarla nello spazio è molto costoso, dunque averla disponibile già a 400mila chilometri di distanza da noi è un vantaggio impagabile: "Potremo utilizzare quella che c'è lassù invece di portarla con noi".

Una scoperta che "pone nuove sfide circa la nostra comprensione della superficie lunare e domande affascinanti riguardo risorse utili all'esplorazione dello spazio profondo", ha aggiunto Paul Hertz, direttore della divisione astrofisica della Nasa, "avevamo indicazioni sulla presenza di molecole di H2O e ora sappiamo che l'acqua c'è". Ma non tutti sono particolarmente ottimisti, perché resta il dubbio sulla stabilità dell'acqua in quella forma: "Non è chiaro se lo sia per lunghi o brevi periodi" ammette William Bottke del Southwest research institute del Colorado, scettico sulla reale utilità per le missioni della scoperta perché "gli astronauti potrebbero avere grandi difficoltà ad estrarre quell'acqua. Al momento nessuno può escludere che per riempire anche una singola bottiglia occorra macinare migliaia di chili di roccia".
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