C'è una generale fiducia sul successo delle sperimentazioni del vaccino anti Covid. «Sono cautamente ottimista sul fatto che avremo un vaccino sicuro ed efficace per gli Usa e il resto del mondo, inclusa l'Italia, più o meno all'inizio del 2021», ha dichiarato l'immunologo americano Anthony Fauci ricordando che negli Usa quattro dei sei farmaci testati sono alla Fase 3 della sperimentazione, un programma molto avanzato. Sono previsti invece tempi molto più ristretti - addirittura fine novembre - nei laboratori dell'Istituto Jenner dell'Università di Oxford e dell'azienda farmaceutica britannica AstraZeneca che stanno sviluppando il vaccino in collaborazione con l'italiana Irbm. Un traguardo molto atteso in un momento in cui la curva dei contagi cresce in tutto il mondo e il numero delle vittime ha superato ormai la soglia di un milione. Il vaccino sarà dunque l'unica arma per sconfiggere il virus Sars Cov-2 e - nonostante le tante campagne di vaccinazioni di massa per le più diverse malattie (come la poliomelite e il morbillo) avviate nel secolo scorso - in un'epoca di pandemia globale come quella che stiamo vivendo, l'attesa del farmaco salvifico riporta indietro l'umanità ai tempi in cui non c'erano difese definitive contro le infezioni. La stessa attesa vissuta quando, alla fine del Settecento, arrivò la svolta nella guerra al vaiolo (eradicato solo nel 1980) grazie a quella che viene considerata una tra le più grandi scoperte della storia della medicina: il vaccino. Perché il vaccino si chiama così? L'origine del nome, che rimanda ai bovini, è legata alla scoperta del medico e naturalista inglese Edward Jenner i cui studi erano concentrati sulle malattie che interessavano sia gli uomini che gli animali. Viveva nella contea di Gloucester, regione del sud dell'Inghilterra dove l'economia era fondata sull'allevamento dei bovini da latte. Qui era piuttosto diffuso il cowpox, il vaiolo bovino che si manifestava con vesciche purulente sulle mammelle delle vacche e che si trasmetteva molto spesso anche a chi mungeva gli animali infetti. Si manifestava con pustole sulle mani, lesioni che finivano per cicatrizzarsi in breve tempo mentre restava - questa la scoperta - lo stesso effetto protettivo, immunizzante, che si poteva osservare nei sopravvissuti al vaiolo umano. Era quella della mungitura una mansione svolta prevalentemente dalle donne e fu tramite una di queste, Sarah Nelmes, che nel 1790 il dottor Jenner arrivò a sperimentare sul proprio figlio l'efficacia immunizzante del cowpox. La donna, rimasta contagiata durante un'epidemia di vaiolo bovino, era la balia del bambino che allora aveva appena dieci mesi: Jenner prelevò il liquido dalle pustole delle sue mani e lo inoculò sul piccolo e due inservienti. Risultato: nessuno si ammalò di vaiolo. L'esperimento fu ripetuto anni dopo, con l'esplosione di un'altra epidemia di cowpox nella contea. Edward Jenner prelevò ancora il pus dalle mani di una contadina malata e questa volta lo inoculò in un bambino di otto anni, James Phipps, che non contrasse il vaiolo. A quel punto il medico allargò la sua sperimentazione su tanti altri bambini e l'immunizzazione riuscì su tutti. Presentò dunque il suo studio alla Royal Society che, però, non lo accettò perchè i casi riportati erano troppo pochi. Jenner decise così di pubblicare un libro nel quale raccontava il successo dei suoi esperimenti. Era l'anno 1798. Fu proprio su quelle pagine che usò il termine vaccino. Un metodo, il suo, che dapprima ristretto a pochi Paesi europei, a partire dal 1864 - dopo la presentazione dei risultati al Congresso medico di Lione - si diffuse in tutto il Continente. La tecnica accettata, però, chiamata "vaccinazione animale", presupponeva che il liquido da inoculare venisse raccolto direttamente dalle mammelle delle vacche colpite dal vaiolo. Tra Ottocento e Novecento gli scienziati lavorarono per estendere la vaccinazione ad altre malattie infettive.
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