Un uomo, una polisportiva. Ignazio Urru, 82 anni, di Pula, ha fatto tantissimo per lo sport nel suo paese e non solo. É stato la mezz’ala della squadra di calcio che negli anni 60 militava in Seconda categoria, poi il capitano e l’allenatore, è stato insegnante di sci nautico per l’hotel di Is Morus dove ha cominciato a lavorare giovanissimo scalando tutta la gerarchia dei ruoli organizzativi della struttura turistica, ancora oggi gioca ogni domenica a golf, impianto di Is Molas, dove ha raggiunto 9 di handicap, niente male per un autodidatta. Ma soprattutto ha portato il tennis a Pula.

Ignazio Urru, 82 ani, di Pula, con la racchetta utilizzata nel 1981 per vincere la prima edizione del torneo memorial Pasquariello (foto Paolo Carta)
Ignazio Urru, 82 ani, di Pula, con la racchetta utilizzata nel 1981 per vincere la prima edizione del torneo memorial Pasquariello (foto Paolo Carta)
Ignazio Urru, 82 ani, di Pula, con la racchetta utilizzata nel 1981 per vincere la prima edizione del torneo memorial Pasquariello (foto Paolo Carta)

Quella di Ignazio Urru è una storia fantastica, di amore per il lavoro e per lo sport e per la famiglia (le sue due gemelle sono campionesse di beach tennis), cominciata da ragazzino. «Mia madre gestiva un piccolo market a Santa Margherita, quando fu realizzato il primo albergo, quello di Is Morus, avevo 14 anni e cominciai a lavorare durante la stagione estiva: collaboravo nella portineria. Evidentemente il mio lavoro venne apprezzato: il direttore dell’albergo, Antonio Cappellani, dopo qualche anno mi chiese se ero disposto a investire tempo e denaro per formarmi professionalmente. Così per qualche anno d’inverno fui mandato all’Estero, Londra, Parini, Ginevra, per imparare le lingue, inglese, francese e tedesco, di cui ancora oggi ho una discreta padronanza sia orale sia scritta. Fu proprio questa mia specializzazione a farmi apprezzare: ho lavorato tanti anni a Is Morus, sono stato capo Villaggio al Free beach, mi sono occupato di tutto per i turisti nel servizio di concierge prima e poi come direttore delle attività sportive di Is Morus: tennis, certo, ma anche windsurf e sci d’acqua».

Ignazio Urru con la rivista Match Ball che celebrò la sua vittoria nella prima edizione del Pasquariello (foto Paolo Carta)
Ignazio Urru con la rivista Match Ball che celebrò la sua vittoria nella prima edizione del Pasquariello (foto Paolo Carta)
Ignazio Urru con la rivista Match Ball che celebrò la sua vittoria nella prima edizione del Pasquariello (foto Paolo Carta)

Già , il tennis. Ignazio Urru non ha mai smesso di giocare a pallone nella squadra del suo paese, ma durante quel primo soggiorno-studio a Londra successe un fatto particolare: «Il mio compagno di viaggio era un aiuto barman di Is Morus, Antonio Graziani. Una domenica, in un luna park, in un gioco vincemmo una racchetta da tennis in legno, una Dunlop. Decidemmo di acquistarne un’altra dividendo la spesa e cominciammo a frequentare gli impianti sportivi pubblici. Ricordo i campi in terra battuta a Londra, pagavi e potevi giocare quanto volevi. Così imparai questo sport, da perfetto autodidatta. E mi servì anche dal punto di vista lavorativo».

Già, perché quando i turisti tennisti arrivavano a Is Morus senza compagno di gioco, toccava va a lui scendere in campo. Ore e ore al giorno. «Così conobbi anche i fratelli Roberto e Gigi Binaghi, erano i soci fondatori del Tennis club Cagliari che d’estate si trasferivano al Santa Margherita ed erano sempre alla ricerca di un campo da tennis. Li ammettemmo a Is Morus, furono così gentili da farmi giocare diverse volte con loro e mi spinsero a iscrivermi al Tennis club Cagliari di Monte Urpinu. Non è che giocassi molto, avevo poco tempo, ma frequentai per diversi tempi il Tennis club Cagliari, diventando amico un po’ di tutti. Ricordo il barista signor Giuseppe Melis, i più forti non classificati dell’epoca come Guido Meloni e Roberto Pompei, quelli che poi vedevo d’estate a Santa Margherita come Tore Lilliu».

Pedalatore instancabile, magari senza troppo stile, dal «tennis scarno, preciso, essenziale, fatto di attese e pallonetti, di gambe e di cervello», come scrisse su di lui l’indimenticato giornalista Carlo Santarini sulle pagine della rivista specializzata per eccellenza, Match Ball, Ignazio Urru cominciò anche a disputare qualche torneo, a organizzare una scuola di tennis con 120 bambini a Pula in un campo in terra realizzato a poca distanza dalla piazza principale, ancora oggi esistente inglobato in un oratorio. Sino al 1980, quando fu folgorato sulla strada di Is Molas: «Cominciai a giocare a golf, di fatto abbandonai il tennis». Tra i soci frequentatori di Is Molas c’era anche un nobile cagliaritano, il conte Bruno Tomassini Barbarossa, grande tennista e dirigente del Circolo militare tennis al Campo Rossi di Cagliari, che un giorno a bruciapelo gli chiese: «Ignazio, perché non ti iscrivi a un torneo organizzato a Cagliari? Sai, è in memoria di un amico scomparso, Domenico Pasquariello, era vicecomandante dei vigili urbani, un brutto male ce l’ha portato via».

La foto di Ignazio Urru pubblicata dalla rivista Match Ball nel luglio del 1981 (foto p. c.)
La foto di Ignazio Urru pubblicata dalla rivista Match Ball nel luglio del 1981 (foto p. c.)
La foto di Ignazio Urru pubblicata dalla rivista Match Ball nel luglio del 1981 (foto p. c.)

Ignazio Urru ricorda benissimo quei giorni: «Non potevo dire di no al conte, era un amico, ma non avevo più neppure la racchetta. Andai a Cagliari e acquistai una Head in alluminio. Sì, soltanto una. La provai ed ebbi una sensazione difficile da descrivere: la sentivo leggera, potente, precisa, scendevo in campo e mi accorgevo che non sbagliavo mai. Passai il primo turno, poi il secondo, c’erano oltre duecento iscritti, per farla breve arrivai sino ai quarti abbastanza in scioltezza ma quello era il momento cruciale: per recuperare il tempo perduto nelle prime giornate del torneo, gli organizzatori programmarono quarti e semifinali nella stessa giornata, al mattino e alla sera. Per fortuna ero abbastanza allenato con il calcio. Nei quarti vinsi contro il maestro Aldo Pinna, in semifinale mi toccò Guido Meloni e pensai: mi batterà 6-0 6-0, me lo ricordavo fortissimo dai tempi del Tennis club Cagliari». Invece a sorpresa il tennis antico di Ignazio Urru ebbe la meglio su quello tecnico di Meloni.

Ignazio Urru nel 1981 (foto Paolo Carta)
Ignazio Urru nel 1981 (foto Paolo Carta)

Ignazio Urru nel 1981 (foto Paolo Carta)

La foto di Ignazio Urru pubblicata dalla rivista Match Ball nel luglio del 1981 (foto p. c.)
La foto di Ignazio Urru pubblicata dalla rivista Match Ball nel luglio del 1981 (foto p. c.)
La foto di Ignazio Urru pubblicata dalla rivista Match Ball nel luglio del 1981 (foto p. c.)

La finale si giocò in un Campo Rossi gremito di folla. All’epoca c’erano cinque campi tutti in terra battuta, il numero uno era praticamente sempre all’ombra per la presenza di enormi eucalipti, si giocava sulla terra battuta mista alle foglie cadute dagli alberi. Sugli spalti anche il sindaco Michele di Martino, in rappresentanza del Comune di Cagliari, dove lavorava appunto Domenico Mimmo Pasquariello. «Fu una partita incredibile, il giorno prima arrivai a casa con le gambe anchilosate, avevo 39 anni, non ero ancora sposato, mia mamma mi preparò una vasca d’acqua calda piena di sali ma ero convinto che non avrei mosso un passo l’indomani in finale. Il mio avversario, poi, Gemiliano Leinardi, era un bomber, un attaccante, aveva almeno dieci anni meno di me, ero nettamente sfavorito. Al palleggio pensai: chissà se vincerò almeno un game, non mi va di fare una brutta figura di fronte a tanta gente». Invece no, la partita fu equilibratissima e spettacolare: da una parte il tennis d’attacco e tecnico di Leinardi, dall’altra la regolarità, l’esperienza e il cuore di Urru. «Leinardi serviva fortissimo, copriva tutta la rete, mi attaccava profondo oppure con smorzate, io ci arrivavo e facevo il pallonetto o la controsmorzata, ripeto, con quella racchetta mi riusciva tutto». E a un certo punto, riportano le cronache di Carlo Santarini, Gemiliano si rivolge al pubblico: «Ditemelo voi cosa devo fare contro questo avversario», dopo aver inseguito invano l’ennesimo millimetrico pallonetto.

«Vinsi 7-6 al terzo, fu grande festa. Ricordo che un mio amico fece il tifo per tutta la partita, si chiamava Romano Pilloni giocava il riscaldamento con due racchette, mi accompagnò a Pula e volle essere invitato a cena. Lo feci con piacere: mi avevano dato una busta con 500 mila lire, erano i primi soldi che vincevo sul campo da tennis, una cifra altissima per quel periodo».

Per Ignazio Urru fu praticamente l’ultimo torneo: «Stava cominciando l’estate, fui preso dal lavoro a Is Morus e poi mi dedicai completamente al golf. Ripresi la racchetta solo qualche anno più tardi, con mie figlie». Oggi lavora ancora, insieme alla moglie e alle figlie gestisce un’agenzia di viaggi e una società di autonoleggio, sempre grazie al fatto che parla correttamente tre lingue straniere. «Quest’anno gli organizzatori del Campo Rossi mi hanno invitato alla premiazione del Pasquariello: non me l’aspettavo, mi davvero un bel gesto. Ho vinto la prima edizione di un torneo diventato importante, nel quale hanno giocato tantissimi ragazzi diventati poi campioni sardi. Ed è un ricordo che mi porto sempre dentro il mio cuore».

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