Ci sono città costiere, in tutto il mondo, che si stanno preparando ad affrontare uno tsunami. È un programma ideato dall’Unesco: l’idea è di estenderlo a tutti i centri che si sono sviluppati sul mare. Ma la cosa che sorprende è che, tra queste città pioniere, ce ne siano quattro situate nel Mediterraneo. Marsiglia, Istanbul, Alessandria d’Egitto, anche la piccola (ma molto glamour) Cannes.

Nell’immaginario collettivo degli europei, la nozione di un’onda anomala distruttiva – di solito causata da un terremoto – è collegata all’Oceano Pacifico o all’Oceano Indiano, e in ogni caso a scenari lontani ed esotici. Non a caso ci si ricorda del disastro nell’Oceano Indiano del 26 dicembre 2004, che fece 230mila vittime in 14 diversi Paesi, e di quello giapponese dell’11 marzo 2011, che si fermò a “soli” 18mila morti. E invece l’Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di istruzione, scienza e cultura ha formulato, in base a calcoli statistici complessi, una previsione scioccante: la probabilità che nei prossimi trent’anni si verifichi nel Mediterraneo uno tsunami con un’onda di altezza superiore a un metro, è addirittura vicina al cento per cento.

Sottovalutazioni

Bernardo Aliaga, capo per l’Unesco del team di esperti sull’argomento, è assai netto: “In molte aree, il rischio di eventi simili è ampiamente sottostimato. Per quanto riguarda il Mediterraneo, c’è poco da discutere: il punto non è se accadrà, ma quando”.

Se n’è parlato di recente alla Conferenza delle Nazioni Unite sull’Oceano, che si è tenuta a Lisbona: l’Unesco ha lanciato da qualche anno il programma “Tsunami ready”, che ha coinvolto 40 località, in 21 Paesi diversi, in un percorso finalizzato a preparare dei piani di riduzione dei rischi nell’eventualità di un maremoto. Si è trattato finora di comunità ubicate appunto in riva ai due oceani – Pacifico e Indiano – che hanno già conosciuto catastrofi arrivate dal mare; oppure ai Caraibi, altra zona considerata ad alto rischio.

L’Agenzia intende ora allargare gradualmente il programma a tutti i centri costieri nel mondo, anche in specchi d’acqua come il Mediterraneo in cui si riteneva meno probabile qualcosa di simile. Tra le nuove città coinvolte, a queste latitudini europee, oltre alle quattro già citate c’è da segnalare anche la spagnola Chipiona, in Andalusia, che però è a ovest dello stretto di Gibilterra e si affaccia sull’Atlantico.

Non ci sono finora città italiane comprese nel programma “Tsunami ready”, ma anche il nostro Paese ospita uno dei nuovi centri mediterranei di controllo, insieme a Grecia, Francia e Turchia. Ce n’è uno anche in Portogallo, Paese che non sviluppa le sue coste sul Mediterraneo ma ha già una triste esperienza specifica: uno dei più terribili terremoti della storia, quello del giorno di Ognissanti del 1755, generò un’onda alta sei metri che si abbattè su Lisbona e Cadice, mietendo altre vittime oltre alle 50mila già causate dal sisma.

La preoccupazione non può che riguardare anche la Sardegna, come qualsiasi altro territorio insulare. È vero che la sua città capoluogo, Cagliari, in realtà ha uno sviluppo che in gran parte la vede quasi fuggire dal mare, più che specchiarcisi sopra. Ma è ovvio che un eventuale tsunami potrebbe essere terribile. Basta un evento di entità media (con onde alte da un metro e mezzo a due metri) per vedere muri d’acqua che raggiungono la costa a una velocità di 60-65 chilometri orari, spazzando via qualsiasi cosa e provocando danni pesantissimi. Soprattutto perché, al momento, tutti verrebbero colti impreparati.

Anche per questo motivo assume grande importanza il programma di sensibilizzazione delle comunità costiere. Ovviamente un maremoto non si può prevenire: prepararsi significa però mappare le zone più a rischio, prevedere piani di evacuazione e sistemi efficienti di comunicazione ai cittadini (turisti compresi), dagli altoparlanti ai messaggi whatsapp; e ancora, creare gruppi di soccorso capaci di intervenire nel minor tempo possibile.

Tempi stretti per salvare vite umane

“Il sistema di monitoraggio creato dall’Unesco è in grado di intercettare il rischio tsunami molto rapidamente”, spiega la direttrice generale dell’Agenzia Audrey Azoulay, “ma far squillare l’allarme non è tutto: per salvare più vite, le comunità costiere devono allenarsi a reagire nella maniera corretta”. “Vogliamo che siano tutte pronte a farlo nel migliore dei modi entro il 2030”, aggiunge Bernardo Aliaga. “L’allerta viene diffuso in genere entro dieci minuti dal terremoto che può causare un’onda anomala. Se si tratta di uno tsunami di dimensione ‘locale’, ci sono 20 minuti al massimo prima che l’onda raggiunga la costa; poi solitamente ne passano circa 40 per l’arrivo della seconda ondata, che spesso è più grande e pericolosa”. Diventa quindi decisivo il modo in cui viene utilizzato quel tempo, che non è moltissimo ma può consentire diverse vie di salvezza. A patto però che si sappia cosa fare: reagire a casaccio e in preda al panico porta quasi inevitabilmente a subire conseguenze peggiori.

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