Non diceva solo «Elementare, Watson», l’investigatore nato dalla penna di Arthur Conan Doyle. Dalla bocca letteraria di Sherlock Holmes è nata anche un’altra espressione che, ormai dalla fine dell’Ottocento, è entrata nel nostro linguaggio, e questa frase è: «Non si finisce mai di imparare». E se questo è vero nella vita di chiunque, il discorso vale ancor di più nella medicina, che grazie alla ricerca e alla sperimentazione di nuovi protocolli terapeutici progredisce e, di fatto, modifica continuamente l’approccio alle cure dei pazienti per ciascun problema di salute.

Queste “pratiche”, questi percorsi, hanno ovviamente un nome in codice, anzi un acronimo: si chiamano Pdta, che sta per Percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali, uno strumento utilizzato in tutto il mondo per uniformare l’approccio alle diverse categorie di pazienti. Una via maestra, si potrebbe dire, costruita sull’esperienza offerta da tanti casi e altrettanti percorsi terapeutici, messi a confronto per trovare quello che garantisca i migliori risultati. All’Arnas (Azienda di rilievo nazionale ed alta specializzazione) “Brotzu” di Cagliari, che comprende anche l’ospedale oncologico “Businco” e – ancora per poco - il microcitemico “Cao”, definiscono i Pdta «strumenti organizzativi che permettono di delineare il miglior percorso di cura praticabile e di prendere in carico il paziente a 360 gradi». Perché ogni patologia, e dunque ogni terapia, dev’essere trattata con un occhio ben fissato sui vantaggi che ogni cura porta al paziente, ma l’altro deve guardare anche al prezzo che si paga per stare meglio, cioè gli effetti indesiderati che praticamente ogni terapia porta con sé. Da questo equilibrio, oltre che dalle nuove scoperte scientifiche e sui farmaci frutto di studi più recenti, si basa appunto un Percorso diagnostico terapeutico assistenziale.

Proprio ai Pdta di recente l’Arnas Brotzu ha dedicato un convegno aperto al proprio personale soprattutto sanitario. «Abbiamo coinvolto le nostre risorse umane», spiega il commissario straordinario Paolo Cannas, allo scadere del commissariamento: finalmente la Regione dovrebbe riuscire a seppellire l’Ats e a far nascere l’Ares, fornita della propria dirigenza. E così, dentro l’azienda sanitaria che fa capo all’ospedale San Michele, la collaborazione di oltre trecento professionisti della sanità ha consentito di scrivere nuovi “percorsi” (i Pdta, appunto) che vanno a vantaggio dei pazienti. «Ne abbiamo attivati dieci nuovi», commenta Cannas, «e quattro sono in fase di sviluppo, mentre altrettanti sono ora in quella di attivazione». Quelli già “in vigore” riguardano gli approcci terapeutici per emergenza-urgenza pediatrica, piede diabetico, ictus ischemico, percorso nascita, sepsi, stenosi aortica severa, trapianto di rene, trauma maggiore, tumore alla mammella e tumore al colon.

Di fatto, i Pdta sono uno strumento che coinvolge quello che in gergo sono definite “comunità di pratica”, cioè l’insieme delle capacità professionali che sono coinvolte nelle terapie per i diversi tipi di patologia e che sono multidisciplinari. E quando si giunge al punto, poi, in realtà non si è arrivati, è solo una tappa in più: «Nel momento in cui si scrive un nuovo Pdta è già vecchio, perché nel frattempo arrivano nuove metodiche e nuovi farmaci, quindi è giusto che queste comunità di pratica continuino a incontrarsi con spirito sempre nuovo, per continuare a formarsi e a migliorare ulteriormente il processo da seguire nella presa in carico di un paziente», commenta il commissario Cannas.

L’idea di base è dunque che un singolo professionista della sanità «ottiene un risultato inferiore rispetto a quando si prende in carico un paziente in maniera collegiale», cioè con un team di specialisti di diverse branche della medicina, commenta ancora Cannas. Questo perché più professionisti si confrontano, correggono gli errori, cercano la migliore metodologia, poi lo scrivono e si confrontano tra loro. È così che la cura di un paziente diventa un disegno strategico, il che – e non guasta – dà anche allo specialista una maggiore soddisfazione. Perché non di soli euro vive l’uomo, soprattutto se fa il medico.

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