Spiaggia di Giorgino: ecco dove fare un tuffo nel passato. È un’atmosfera particolare, d’altri tempi, quella che si respira a pochi chilometri dalla città, alla fine della strada a quattro corsie che porta a Santa Margherita. Ieri mattina le note sdolcinate di una canzone napoletana si fondevano con l’odore della salsedine e del detersivo usato per lavare i piatti della notte precedente. Già, perché qui di notte si balla e si cena a prezzi stracciati con il pesce pescato nel Golfo.
Ne è passato di tempo da quando i “Bagni Carboni” ospitavano la borghesia e la nobiltà cittadina che con servitù e vari attendenti caricava le masserizie per trascorrere qualche giorno al mare. Ora è tutto diverso, un angolo, uno spaccato di “cagliaritanità”. Al bando la confusione del Poetto, traffico impazzito, motorini e auto parcheggiati nei posti più impensabili. Niente caos, accampamenti, racchettoni o sfide a calcetto. La spiaggia nel capoluogo non è solo il Poetto. Ci sono posti poco frequentati che regalano momenti di puro relax e intense amicizie. Angoli di paradiso che conservano i tratti spesso cancellati o nascosti dal tempo. Angoli dove i valori di amicizia e rispetto sono quelli di una volta, al netto di mini costumi, overbooking di chirurgia plastica e interventi sguaiati. Angoli dove i racconti di un’epoca che non c’è più sono la scusa per passare qualche ora ad ammollo o sbragati su un lettino. Giorgino È un’atmosfera particolare, d’altri tempi, quella che si respira a pochi chilometri dalla città. A Giorgino è diverso: così capita di ammirare signore con chili oltre lo standard e peli superflui che spuntano dalla pelle a buccia d’arancia e uomini con pance a forma d’anguria. Qui l’estetica conto poco o nulla: l’importante è stare sereni, mangiare in compagnia dopo essersi riforniti di pasta al forno e maialetto in capienti borse frigo.

C’è un angolo della spiaggia che avrebbe necessità di un intervento immediato. Rifiuti di ogni specie su cumuli di poseidonia, tra un ex carcere, ville e locali abbandonati e ridotti in macerie fanno brutta figura per centinaia di metri. Non se lo merita un presente del genere quell’area al confine con il Porto canale, dove un tempo passava la strada che conduceva a Capoterra e a Santa Margherita. Proprio la realizzazione dello scalo commerciale ha decretato la condanna a morte di quel tratto di arenile, soffocato da “palle di mare” e immondezza, terra di nessuno, vittima di un “rimpallo” tra Comune (proprietario della strada) e Autorità portuale (gestore dell’area). Alla fine della quattro corsie per chi arriva dal capoluogo, tra i fenicotteri che si specchiano nella laguna di Santa Gilla e le gru del porto commerciale, si svolta a sinistra. L’asfalto è malconcio, ma è niente in confronto allo scenario che fa da cornice al colore azzurro del mare e del cielo schiarito dal maestrale. Il primo rudere in quel budello d’asfalto è “Villa Aresu” una costruzione devastata dalla salsedine e dai vandali. Poco più avanti il famigerato ex Carcere minorile ora di proprietà della Regione che, come la maggior parte dei sui beni, non sa proprio cosa farsene. Dopo essere stata vigilata da guardie giurate (costate un patrimonio), per evitare l’occupazione abusiva, ora giace nel completo oblio. Le finestre e il portone murati rendono ancora più tetra la visione. Più avanti un’altra costruzione della Cagliari che fu, “Villa Marongiu”, una palazzina di mattoncini rossi che negli anni '80 ospitò la direzione dei lavori del Porto canale, ridotta in rudere dal tempo e dagli infiniti contenziosi. Tra macerie, ruderi e incivili, una serie di case abitate da “coraggiosi”, senza fogne e illuminazione pubblica e dove l’acqua potabile arriva con le autobotti. Una cartolina dal terzo mondo.

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