Non è vero che il mondo dello sport è sempre stato chiuso storicamente alle donne, trincerandosi dietro volgari e banali stereotipi (“è un altro sport”, “sono poco competitive”). Ci sono state donne che hanno battuto gli uomini, altre che hanno vinto medaglie e innescato straordinarie rivoluzioni culturali. Ai Giochi olimpici le donne ci sono sempre state, almeno dall’edizione di Parigi del 1900 in poi. Ma quest’anno, i Giochi di Tokyo registrano un vero record: con il 48% di presenze al femminile, l’edizione cominciata venerdì scorso non passerà alla storia solo per essere stata rinviata di un anno a causa della pandemia da Covid-19, ma perché è l’Olimpiade con la maggior presenza femminile di sempre. Una media superata dall’Italia che in Giappone porta poco meno di 180 atlete, di cui quattro sono sarde: Dalia Kaddari (atletica), Alessio Orro (pallavolo), Marta Maggetti (windsurf) e Federica Deidda (nuoto sincronizzato).

Il caso della boxe

Sulla strada di Giochi olimpici più paritari della storia c’è, però, un caso su cui vale la pena riflettere. Quello della boxe. Grandi numeri e un risultato eccezionale per le ragazze: Irma Testa, Angela Carini, Giordana Sorrentino e Rebecca Nicoli sono le quattro dame che rappresentano l’Italia dei pugni a Tokyo. Ma fa rumore soprattutto lo zero della squadra maschile, sempre presente dal 1920 ad Anversa, quando la boxe italiana si affacciò alle Olimpiadi. Ci sono state edizioni senza un podio, ce ne sono state altre con all’attivo una sola medaglia di bronzo. Ma senza un pugile uomo mai. Eravamo abituati bene: soprattutto negli ultimi anni, grazie al poliziotto di Quartu Sant’Elena Manuel Cappai, capace di conquistare per due volte consecutive i Giochi (a Londra nel 2012 e a Rio de Janerio nel 2016). L’allievo di papà Fabrizio, stavolta, è stato beffato due volte: la prima, dalla pandemia, che con la cancellazione dei tornei preolimpici, gli ha tolto il sogno di diventare il primo atleta sardo a partecipare a tre edizioni consecutive dei Giochi. La seconda, dalla federazione che, ora a posteriori si può dire, con una scelta sbagliata (ma nell’ambiente era considerata tale anche due anni fa) non l’ha portato ai Mondiali di Russia del 2019: su quel ring, è vero non c’erano in palio i pass per Tokyo, ma per colpa del Covid sul ring di Ekaterinburg, a settembre di due anni fa, si sono cristallizzate le posizioni nel ranking mondiale che alla fine, senza più tornei preolimpici, hanno pesato nella scelta dei pugili europei che saliranno a Tokyo.

Il pugile Manuel Cappai agli Europei del 2019
Il pugile Manuel Cappai agli Europei del 2019
Il pugile Manuel Cappai agli Europei del 2019

L’Italia nel medagliere olimpico

Nel medagliere a cinque cerchi il movimento azzurro è quarto con 47 medaglie, 15 d’oro (una nei pesi mosca, conquistata grazie ai pugni di Fernando Atzori, da Ales, nel 1964, proprio a Tokyo) e altrettante d’argento. Davanti solo Usa con 114 medaglie (50 d’oro), Cuba con 73 (37) e Gran Bretagna con 56. Tra vittorie ai punti o per cappaò, tanti pugili italiani sono entrati nella storia. L’edizione con più pugili italiani presenti, ben 16, quella di Parigi 1924, quella con meno atleti, 4, quella di Mosca 1980 caratterizzata, però, dal boicottaggio. Da quell’edizione di quasi 41 anni fa, l’Italia del pugilato è sempre stata sempre presente con almeno 5 pugili (il massimo con 7 a Londra 2012 e Rio 2016 dove era presente proprio Cappai). Adesso però la tradizione costruita combattimento dopo combattimento si è improvvisamente interrotta. E’ l’anno nero, ma può anche starci. “D’altronde anche la nazionale di calcio non si è qualificata per i Mondiali del 2018”, ha detto Francesco Damiani, uno che ha conquistato una medaglia d'argento nel 1984 a Los Angeles prima di lanciarsi in un’ottima carriera da professionista. Nello sport può succedere.

Nel frattempo, a Tokyo ci salvano le donne. Quattro combattenti straordinarie che tirano fuori dai guai l’Italia del pugilato. L’Italia maschile ha vinto l’ultimo oro a Pechino 2008 con Roberto Cammarelle e ora, a dispetto di quella femminile, è al culmine di una crisi di reclutamento, scuole di formazione e tecnici che dura da tanti, troppi anni.

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