L’affettività è un diritto, pure per i detenuti.

Una importante sentenza della Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 18 della legge sull’ordinamento penitenziario. Nel mirino c’è la parte della norma che non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa a svolgere i colloqui con il coniuge o la parte dell’unione civile o la persona stabilmente convivente senza il controllo a vista del personale di custodia. Con una condizione: tenuto conto del comportamento in carcere, non devono esistere ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina né ragioni giudiziarie se il detenuto è imputato.

La Corte sottolinea che l’ordinamento giuridico tutela le relazioni affettive della persona nelle formazioni sociali in cui esse si esprimono. In altre parole riconosce a tutti la libertà di vivere pienamente il sentimento di affetto. Lo stato di detenzione può incidere sui termini e sulle modalità di esercizio di questa libertà ma non può annullarla in radice, con una previsione astratta e generalizzata, insensibile alle condizioni individuali della persona detenuta e alle specifiche prospettive di rientro nella società.

Il ricorso era stato promosso dal giudice di Sorveglianza di Spoleto su reclamo di un detenuto nel penitenziario di Terni nel marzo 2022. Il detenuto era recluso per cumulo di pene per reati che vanno dall’omicidio tentato al furto aggravato, dall’evasione ad altro di minor rilievo. La fine della pena era prevista per l’aprile 2026. In quel frangente il condannato non disponeva ancora di un programma di trattamento né verosimilmente avrebbe potuto godere di permessi premio visto che di recente aveva pure avuto sanzioni disciplinari.

Nel carcere dove scontava la pena ci sono aree dedicate agli incontri con i figli ma non esistono luoghi analoghi per le visite dei partner, atteso che la vigilanza continua tramite il controllo a vista del personale di custodia è prescritta dall’articolo 18 dell’ordinamento penitenziario.

Secondo il magistrato di Spoleto la sorveglianza a vista durante i colloqui con il partner implica per il detenuto un vero e proprio divieto di esercitare l’affettività in una dimensione riservata, in sostanza non consente la sessualità.

La Corte costituzionale ha condiviso questo ragionamento ritenendo che l’intimità degli affetti non possa essere sacrificata dall’esecuzione penale oltre la misura del necessario, venendo altrimenti percepita la sanzione come esageratamente afflittiva sì da non poter tendere all’obiettivo della risocializzazione.

Nella parte conclusiva della articolata sentenza la Cortes si sofferma sull’opportunità di valorizzare il contributo che a un’ordinata attuazione della sua decisione può dare, almeno nelle more dell’intervento del legislatore, l’amministrazione della giustizia in tutte le sue articolazioni, centrali e periferiche, non esclusi i direttori dei singoli istituti.

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