Conviene ammalarsi in Emilia Romagna o in Veneto, piuttosto che al Mezzogiorno o nelle Isole. Cosa nota da tempo, ma che non accenna a essere meno vera del passato: ora anche i numeri ufficiali del governo confermano che, nella sanità, l’Italia è divisa in due. Prestazioni efficienti quasi ovunque al Centro-Nord, carenze gravi e talora gravissime al Sud. L’ultima fotografia della situazione la scatta il rapporto sui Lea, ossia i Livelli essenziali di assistenza: in pratica, le prestazioni minime che deve garantire il servizio sanitario nazionale.

La ricerca, relativa al 2019 e pubblicata di recente dal ministero della Salute, accende ancora una volta un riflettore sulla peggiore qualità, almeno in linea generale, dell’assistenza garantita ai malati nelle regioni meridionali. La Sardegna non risulta tra le sei regioni che non garantiscono i livelli di base, in tutto o in parte; ma si colloca appena sopra la linea della sufficienza.

Prima del Covid

Come foto della situazione, è chiaramente un po’ datata: l’anno di riferimento del rapporto riguarda l’era pre-Covid, quando la pandemia non aveva ancora sconvolto il mondo (e le strutture sanitarie in particolare). Non si conoscono ancora i dati completi del 2020. Ma non c’è ragione di pensare che, in questo frangente, il divario tra migliori e peggiori si sia ridotto. Anzi. Va detto che, tra le sei aree bocciate (o rimandate), due sono nel profondo nord: la Valle d’Aosta e la Provincia autonoma di Bolzano. Ma sono molto periferiche e poco popolate. Nel complesso, i punteggi accumulati da Firenze in su sono molto buoni.

Le altre quattro regioni che non hanno centrato tutti gli obiettivi essenziali sono Sicilia, Calabria, Basilicata e Molise. Come mostra la rielaborazione di Salutequità, associazione indipendente che monitora lo stato della sanità italiana, solo la Calabria ottiene un punteggio insufficiente in ciascuno dei tre fronti su cui si articolano le valutazioni: ossia l’area della prevenzione, quella ospedaliera e quella distrettuale (medicina territoriale). Se nella prima area la Calabria raggiunge 59,90 punti su un massimo di 100, a un passo dalla sufficienza che coincide con i 60 centesimi, resta invece molto negativa la valutazione degli ospedali: appena 47,43. Una via di mezzo (55,50) il punteggio dell’area distrettuale.

Bolzano invece va bene sul fronte ospedaliero (72,79) ma piuttosto male nelle altre due aree. Le restanti regioni vanno “in rosso” solo in un’area per ciascuna: la Sicilia è carente nella prevenzione, il Molise negli ospedali, Basilicata e Valle d’Aosta nei distretti.

I punteggi nell’Isola

La Sardegna ottiene un punteggio discreto solo nella categoria della prevenzione: 78,30, comunque l’ultimo tra le regioni “promosse”. Si salva per un pelo – 61,70 – nell’area distrettuale, e va appena meglio per quanto riguarda gli ospedali, col 66,21. Un’altra regione del sud, la Campania, fa registrare prestazioni simili a quelle dell’Isola: un po’ peggio nell’area ospedaliera (60,40), lievemente superiore in quella distrettuale (63,04) e nella prevenzione (78,88).

L'ospedale oncologico Businco a Cagliari (foto Archivio US)
L'ospedale oncologico Businco a Cagliari (foto Archivio US)
L'ospedale oncologico Businco a Cagliari (foto Archivio US)

Restando alla realtà sarda, è giusto precisare che il punteggio deludente dell’area distrettuale è in gran parte dovuto alla mancanza di dati completi rispetto a molte delle voci che la compongono. Specie quelle sull’assistenza domiciliare e residenziale di anziani, disabili, malati mentali. Nei prossimi anni, una risposta più diligente da parte della Regione a questo tipo di valutazioni, ancora allo stato sperimentale, potrebbe raccontare una realtà meno deficitaria. Tra i dati che vanno meglio, invece, vanno segnalate – nell’area della prevenzione – la copertura vaccinale dei bambini per alcuni tipi di malattie (mentre l’Isola era in ritardo, nel 2019, nell’estensione della vaccinazione antinfluenzale); la tutela della salute nei luoghi di lavoro; la difesa dalle malattie animali trasmissibili all’uomo e dalle contaminazioni degli alimenti di origine animale. Nel complesso, è molto buono, per i sardi, l’indice composito sugli stili di vita. Soddisfacenti anche, passando all’area ospedaliera, i tassi dei ricoveri e la loro appropriatezza.

Ancora troppe disuguaglianze

Stando alla classifica generale, la sanità regionale che nel complesso garantisce meglio i Lea è l’Emilia Romagna: non primeggia in nessuna area, ma in tutte e tre si colloca su un lusinghiero punteggio di 94 e spiccioli. In materia di prevenzione la supera di poco solo l’Umbria, che però cala decisamente nell’area distrettuale, dove invece il primato è del Veneto, con un eccezionale 97,64. Quest’ultima regione ottiene comunque valutazioni ottime anche sugli altri versanti, per cui la sua media di 92,81 è la seconda in assoluto dopo l’Emilia.

La vaccinazione di un bambino (foto Ansa/Archivio US)
La vaccinazione di un bambino (foto Ansa/Archivio US)
La vaccinazione di un bambino (foto Ansa/Archivio US)

La migliore situazione ospedaliera sembra invece quella della Provincia di Trento, che arriva quasi a 97 su 100. Tra le altre regioni centro-settentrionali, si collocano su medie molto buone Lombardia, Piemonte e Toscana, seguite a breve distanza da Liguria, Marche e Friuli. Già detto dell’Umbria, i punteggi si abbassano un po’ – ma sempre su livelli più che accettabili – con Lazio e Abruzzo, mentre calano decisamente, come si è visto, quando si scende sotto Roma. Con un’eccezione: la Puglia, che centra la media del 76, a soli tre punti, per esempio, dal Friuli.

Secondo Tonino Aceti, presidente di Salutequità, sono ancora troppo ampie le disuguaglianze nell’accesso ai servizi sanitari, rappresentate dalla forbice tra le migliori e le peggiori performance tra le regioni: oltre 40 punti di scarto per la prevenzione, circa 50 per il livello distrettuale e 48 per l’area ospedaliera. “La situazione dei servizi sanitari regionali è più seria rispetto a questi dati”, sottolinea comunque Aceti, “la forbice dei punteggi tra le regioni continua a essere troppo ampia. E lo scarto tra i risultati delle Regioni è uno scarto tra i diritti dei cittadini, che deve essere eliminato”. Ora sarà necessario “pubblicare subito anche i dati 2020 – conclude Aceti – perché solo così potremo misurare la reale resilienza del servizio sanitario regionale nell’assistenza erogata ai pazienti non-Covid nel pieno della pandemia”.

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