L’abilità di Matteo Salvini nell’intercettare il consenso è proverbiale. Ma oggi qualcosa è cambiato e la sua leadership ha smesso di essere considerata indiscussa e indiscutibile. Le Regionali in Sardegna e in Abruzzo hanno fatto accendere definitivamente la spia e al segretario federale della Lega non resta che buttarsi anima e corpo sulla campagna per le Europee di giugno. Ha già detto di essere «convinto che arriveremo quanto meno alla doppia cifra», non nascondendo l’obiettivo «di superare il Movimento Cinquestelle nel medio termine». E a chi pensa che le europee siano un test per la sua leadership, ha risposto con una battuta delle sue: «Per i giornalisti l’8 e il 9 giugno c’è in ballo il mio futuro. Ma lunedì 10 giugno a Salvini succederà di svegliarsi come sempre e poi ci sarà martedì 11 e mercoledì 12».

Intanto, rispolvera il vecchio mantra dell’Europa che «negli ultimi anni è stata una sciagura, una iattura per i risparmiatori, per i proprietari di case, per gli automobilisti, per gli agricoltori, per i camionisti, per i lavoratori». Motivo per cui «non voterei per Ursula Von der Leyen», perché «pensare che i disastri dell’Europa possano essere rimediati da lei, co-protagonista di questi disastri, è come dire a uno che ha il diabete “mangiati lo zucchero filato che fa bene”. Non può essere il sistema che ha creato il problema a risolverlo, è evidente».
Insomma, i motori sono accesi e roboanti per difendere il risultato clamoroso del 2019. Altro che doppia cifra: cinque anni fa il Carroccio ottenne oltre nove milioni di preferenze, pari al 34,29%. Il Pd, secondo partito, si fermò al 22,74%, il M5S al 17,06%. FdI allora era lontanissimo: 6,44%. Ora la situazione è capovolta: è il partito della presidente del Consiglio a cercare l’exploit. Ed è la ragione per cui la battaglia del Capitano è diventata così difficile.
Anche perché - sostengono in molti - invece di lavorare per catalizzare i voti liberal di Forza Italia (che infatti vive una stagione positiva, come insegnano le ultime Regionali), ha preferito competere su questo fronte con FdI. Questo non sta aiutando la Lega, che in Abruzzo - per esempio - ha perso 120mila voti rispetto alla tornata precedente. Anche in questo caso Salvini diceva: «Arriveremo alla doppia cifra». Invece si è fermato al 7,6%, comunque più del 7 ottenuto dai pentastellati, ma molto meno del 13,4% di Forza Italia e ovviamente del 24,1% di FdI. In Sardegna è andata peggio: fin dalle premesse, perché il Carroccio ha dovuto rinunciare a indicare il nome del candidato presidente uscente Christian Solinas e farsi piacere quello di Paolo Truzzu (FdI), poi uscito sconfitto dal Campo largo di Alessandra Todde. Nell’Isola Salvini difendeva la posizione di primo partito della coalizione, l’11,40% con otto consiglieri eletti (di cui il presidente dell’Assemblea Michele Pais) contro il 3,7% con un solo eletto (e tutti gli uscenti non riconfermati) nella tornata del 25 febbraio scorso.
E allora, esiste un problema di leadership? Subito dopo l’Abruzzo, qualcuno dall’opposizione interna della Lega ha chiesto un congresso prima delle Europee, e per giorni sono rimbalzate voci su una resa dei conti imminente. Smentite dallo stesso Salvini: «Non ho mai parlato di congressi ad aprile, si farà il congresso federale quando sarà opportuno, prima bisogna vincere le europee». Ma lo stesso governatore del Veneto Luca Zaia ha parlato di «dibattito innegabile all’interno del partito: il consenso si crea amministrando bene e dobbiamo concentrarci in questo», sottolineando «il valore degli amministratori» per la Lega. Alla fine il leader ha ceduto, mettendo la parola fine alle voci su sue resistenze a fissare l’assise che dovrà confermare la sua leadership: prima si terranno i congressi regionali, dopo le europee, per quello federale bisognerà aspettare l’autunno. Salvini è segretario federale dal 2013.

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