Vite da mediano, vite diverse ma uguali. A correre per quelli che pensano, a sudare per chi fa gioco. Il calcio moderno, fatto di tiki-taka, sovrapposizioni, marcature preventive – che esistevano anche in passato con definizioni più caserecce – non ha cancellato questo ruolo epico, anzi lo ha reso ancor più necessario. Al mediano – oggi identificato come centrocampista centrale – non rinunciano neppure gli allenatori a più spiccata vocazione offensiva. Quelli difensivisti per scelta – un esempio a caso, Massimiliano Allegri, della Juventus – arrivano a schierarne orgogliosamente tre. Non meraviglia dunque il fatto che il tecnico livornese abbia invano chiesto alla società e nello specifico al nuovo dt Cristiano Giuntoli di avere a disposizione Kessie, che avrà pure cuore e muscoli ma non piedi educatissimi. Non a caso era stato messo ai margini del progetto da Xavi, fine dicitore quando indossava la maglia del Barcellona prima di accomodarsi sulla panchina blaugrana, adesso l’ivoriano emigrerà in Arabia. 

Negli anni Sessanta l’Inter euromondiale di Helenio Herrera aveva a disposizione Gianfranco Bedin e Carlo Tagnin, i muratori che faticavano per gli architetti, nella fattispecie Sandro Mazzola, Luis Suarez e Mariolino Corso, lento a tal punto che Gianni Brera lo irrise così: «Corso? Participio passato del verbo correre».

La figurina Panini che ritrae Gianfranco Bedin, mediano dell'Inter euromondiale (dall'album Panini)
La figurina Panini che ritrae Gianfranco Bedin, mediano dell'Inter euromondiale (dall'album Panini)
La figurina Panini che ritrae Gianfranco Bedin, mediano dell'Inter euromondiale (dall'album Panini)

E che dire di Giovanni Blasetta Lodetti al servizio di Gianni Rivera? Era il Milan di Nereo Rocco che usava in abbondanza il catenaccio e quando si trattava di riversarsi nei sedici metri avversari ricorreva non alle sovrapposizioni degli interpreti meno dotati – oggi antidoto all’ormai irreversibile assenza di fantasia - ma all’estro dei suoi fuoriclasse, Hamrin per citarne uno. A Lodetti il paron assegnava l’incarico di recuperare palla ma allo stesso tempo di affidarla più rapidamente possibile a chi della stessa palla sapeva cosa fare. Concetti semplici che il calcio di oggi ha in parte marginalizzato se non proprio dimenticato. Tanto è vero che capita di osservare azioni nelle quali invece accade il contrario. E vedere la mezzala dai piedi buoni - lo fece osservare causticamente Franco Causio da commentatore tv – che tocca la palla a favore del mediano.

Il calcio è cambiato ma la sua essenza è la stessa. Oggi gli schemi valgono ancor più quando la cifra tecnica complessiva di una squadra è mediocre. In questo caso è l’organizzazione di gioco a sopperire alle lacune nel palleggio. E il giocatore di qualità continua a fare la differenza. Il Napoli avrebbe vinto lo scudetto se non avesse avuto Osimhen?

Resta indubbio che accanto a ogni campione ci dev’essere un degno gregario. Tanto più prezioso quanto più umile. Rino Gattuso, nel Milan euromondiale, faticava sempre nella consapevolezza dei suoi limiti. Celebre una pillola di una sua intervista: «Quando vedo giocare Pirlo, quando lo vedo col pallone tra i piedi, mi chiedo se io posso essere considerato davvero un calciatore». Gattuso era per Pirlo quello che nella Juve trapattoniana erano Furino per Causio e Bonini per Platini, nella Sampdoria di Boskov Pari per Mancini e Dossena, nel Napoli di Bianchi Bagni per Maradona.

Le vite da mediano fanno anche molta letteratura. Il mediano di Mauthausen è il libro, opera di Francesco Veltri, che ripercorre la storia di Vittorio Staccione, giocatore del Torino degli anni 20, socialista e antifascista, al termine della carriera operaio in fabbrica. Vinse due scudetti – uno revocato - mettendosi al servizio di fuoriclasse come Libonatti e Baloncieri. Durante la seconda guerra mondiale fu deportato e morì nel campo di sterminio nazista di Mauthausen.

Mediano è sinonimo di abnegazione, sacrificio, sudore e lacrime. Il testo del pezzo di Luciano Ligabue – Una vita da mediano, appunto – incarna proprio i valori sociali e morali rappresentati da questo ruolo.  «La vita del mediano - ha spiegato il cantautore emiliano a canzoneitaliana.it - al di là della metafora calcistica tocca un punto importante per me che è la fatica di vivere, nel senso che la vita è un piacere ma anche qualcosa che un po’ ci si deve guadagnare. Io credo che la gente consapevole difficilmente pensa di essere benedetta da genio o talento e che, se vuole produrre qualcosa, deve farlo con il lavoro, con la fatica». 

© Riproduzione riservata