La realtà supera la finzione. È successo ventitré anni fa: i due aerei di linea contro le torri del World Trade Center sono qualcosa che va al di là di ogni catastrofica previsione raccontata nei film sul terrorismo islamico in Occidente usciti prima del 2001. E succede oggi, dopo il 7 ottobre 2023, giorno dell’attacco di Hamas al festival rave Supernova e di altri simultanei in territorio israeliano. Il bilancio di quella giornata sarà di oltre 1400 persone assassinate e 240 rapite. Successivamente, l’escalation del conflitto israelo-palestinese fino a livelli mai raggiunti prima.

Anche in questo caso è accaduto qualcosa che una fiction come l’israeliana “Fauda” non aveva mai nemmeno provato a immaginare. Fauda - in arabo significa “caos”, una scelta fatta dal suo creatore Lior Raz proprio per evocare l’atmosfera costantemente tesa delle vicende narrate - è una serie tv arrivata alla quarta stagione e trasmessa per la prima volta nel 2014 (in Italia nel 2016 su Netflix). In una cinquantina di episodi racconta le operazioni di un’unità di élite dello Shin Bet (l'agenzia di intelligence per gli affari interni dello stato di Israele che si occupa delle attività antiterrorismo in Israele, Cisgiordania e Striscia di Gaza). Perché piace? Perché lo fa esplorando le implicazioni umane e morali dei personaggi. La serie è concepita nell’industria cinematografica di Tel Aviv, il punto di vista è quello, ma le sfumature che riguardano anche la controparte sono caratterizzate benissimo. A questo, cioè alla descrizione realistica di questo caos, è sicuramente legato il suo successo.
Qualcuno ha definito la serie profetica. Alcuni episodi della quarta stagione, per esempio, sono dedicati a un’operazione sotto copertura in Cisgiordania, a Jenin, per arrestare una cellula estremista palestinese coinvolta in un attacco imminente.
Ora, però, Fauda (è annunciata una quinta stagione, ma le riprese sono state interrotte dopo il 7 ottobre) e altri prodotti israeliani come “Teheran” o “Border Patrol” si trovano di fronte a nuove difficoltà. Semplicemente, risentono dei contraccolpi della guerra a Gaza. Improvvisamente, ha fatto notare il quotidiano israeliano Haaretz - gli investitori stranieri non sono più sicuri di voler portare avanti produzioni che erano già in cantiere.

Come riporta l’Ansa, un produttore ha spiegato che «finora ai nostri partner europei piaceva lavorare con noi, ora ci sono attori europei che hanno paura di partecipare a serie israeliane». Senza tralasciare il fatto che spettacolo e guerra si sono incrociati. A el-Bureij, nel settore centrale della Striscia, uno dei protagonisti di Fauda, Idan Amedi, è stato ferito da una fortissima esplosione mentre - con altri commilitoni del genio, sei dei quali sono rimasti uccisi - si apprestava a far detonare una rete di bunker di Hamas, che conduceva ad una sala sotterranea usata per la produzione di razzi. La realtà sta mettendo a rischio la sopravvivenza di prodotti che cercano di raccontarla fedelmente.

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