Il terzo settore può creare sviluppo a patto che si costruisca una visione nuova, basata su una progettualità innovativa. Non solo assistenza o volontariato ma comparto produttivo soprattutto in un’Isola, come la Sardegna, in cui le necessità sono tante, anzi tantissime. E la pandemia ha messo in evidenza l’esigenza di unire le tante facce del volontariato e del terzo settore ma anche i casi di eccellenza in un mondo dove l’assistenza diventa azione e crescita.

Questo spaccato emerge dallo studio “Sardegna, Il sociale isolato”, realizzato dalla società editoriale Vita che ha voluto promuovere un’inchiesta sul Welfare del Mezzogiorno partendo proprio dall’Isola e presentandola a Cagliari negli ultimi giorni di novembre. Un’inchiesta che però non si ferma ai freddi numeri ma mette insieme anche sette esperienze vissute negli ultimi anni nel volontariato e nel terzo settore e le proposte di tre osservatori privilegiati, il docente dell’Università di Cagliari Vittorio Pelligra, l’arcivescovo di Cagliari monsignor Giuseppe Baturi e Giacomo Spissu, presidente della Fondazione di Sardegna, che tra le altre cose ha contribuito alla realizzazione dello studio. E sono proprio le parole del responsabile della diocesi di Cagliari, oltre che segretario della Conferenza episcopale italiana, a tracciare la linea di quella che deve essere una visione di prospettiva. «È necessario che il terzo settore, rispetto allo sviluppo della società e alle sfide che si trova ad affrontare, sappia sviluppare non soltanto un’azione concreta ed efficace, ma anche “un pensiero”, la capacità di immaginare un cambiamento dell’assetto della società e una visione complessiva del suo sviluppo».

I numeri

In effetti, mai come oggi l’apporto del terzo settore può essere valutato come produttivo e centrale anche nel nostro territorio. La fonte principale di reddito nell’Isola continuano a essere le pensioni e i trasferimenti pubblici che rappresentano il 46,4% delle entrate dei sardi. La povertà relativa, dopo la pandemia, nell’Isola è arrivata al 18,1% secondo i dati dell’Istat e i disoccupati nel 2021 sono cresciuti di 4000 unità arrivando a quota 88 mila, si legge nel rapporto di Vita. L’Isola, come tasso di disoccupazione, si colloca al quarto posto nel nostro Paese dietro Campania, Sicilia, Calabria e Puglia. Lasciando da parte in questa sede il dibattito sul reddito di cittadinanza, tuttavia, le dieci Caritas diocesane che operano in Sardegna hanno rilevato parecchi bisogni che vanno dalle necessità alimentari più immediate fino alla carenza di servizi in zone particolarmente colpite dallo spopolamento, alla fragilità del sistema dei trasporti ma anche alle difficoltà educative, alla dispersione scolastica e alle esigenze abitative. Insomma, un quadro non facile in cui spesso la maggiori vittime sono non tanto gli anziani, protetti da sistemi sociali e assistenziali che anche in Sardegna riescono a dare un minimo di copertura, quanto i giovani, in difficoltà per gli effetti prodotti dalla pandemia sulla psiche in una fase in cui l’aggregazione e il confronto sono determinanti per la crescita. Non è solo il fenomeno dei Neet (i giovani che non studiano, non lavorano e non si formano) a preoccupare ma anche quello della Malamovida e tutto ciò che è scaturito dalle carenze educative degli ultimi anni.

I casi positivi

In questo quadro, in cui anche il terzo settore ha difficoltà a trovare momenti di aggregazione e a far sentire la sua voce nelle sedi istituzionali in cui si prendono le decisioni per il futuro, ci sono però anche casi di scuola, modelli che attraverso l’assistenza, il volontariato, la vicinanza a chi ha bisogno hanno saputo offrire un servizio, posti di lavoro e creare sviluppo. Nel libro-inchiesta di Vita, curato dal giornalista Luigi Alfonso, sono sette gli esempi che vengono raccontati. A iniziare dalla Casa della Fraterna Solidarietà di Sassari, che ogni giorno assicura beni alimentari a centinaia di persone, ma anche servizi sanitari a chi ne ha bisogno, grazie ai contributi di aziende, fondazioni, donazioni e lasciti. Un esempio di come si può affrontare la fame con un’organizzazione basata sul volontariato. Lo stesso scopo che si prefigge la Domu mia Amici di Sant’Egidio di Muravera, nata proprio dall’esempio dell’organizzazione romana da cui proviene anche il cardinale Matteo Zuppi, attuale presidente del vescovi italiani. L’associazione di Muravera però ha deciso di reinterpretare l’antica usanza di “S’aggiudu torrau” assicurando cure e sostegno a bisognosi e fragili ma chiedendo in cambio un aiuto. Quello che si può, purché vada alla comunità. Ecco dunque che la casa dei disabili sul litorale di Muravera diventa un luogo di ritrovo per anziani e cittadini. Un modo per puntare su socialità e integrazione.

Stessi valori che sono al centro delle iniziative di Domus de Luna. A Cagliari nella sede della onlus che si occupa di famiglie, minori e donne vittime della violenze, si va oltre la solidarietà intesa e declinata in varie forme. Domus de Luna è un’azienda vera e propria che assiste seimila persone solo nel capoluogo, gestisce varie attività attraverso i 200 volontari e i 200 dipendenti, nella maggior parte dei casi giovani che si sono formati all’interno di questa realtà e hanno poi trovato occupazione nelle strutture che oggi fanno ristorazione o accoglienza (anche all’interno del parco di Monte Arcosu). Anche Gea Ambiente e Turismo ha messo a frutto quello che madre natura regala alla Sardegna, e in questo caso all’isola di Sant’Antioco, partendo da un’impresa sociale tutta al femminile che ha saputo trasformare in opportunità la connessione tra uomo e territorio.

La crescita sociale, e anche qui il legame con il territorio, sono al centro dell’attività della cooperativa Lariso di Nuoro, “Laboratorio per la ricerca e l’intervento sociale”, nata nel capoluogo barbaricino nel 1990 e oggi attiva nella formazione dei giovani, nel sostegno alla ricerca dell’occupazione e nella realizzazione di servizi educativi che superino le difficoltà territoriali.

Le criticità nella crescita ma anche in momenti particolari della vita sono poi da sempre al centro della missione di Mondo X la comunità del francescano padre Salvatore Morittu, punto di riferimento per migliaia di giovani che si trovano nella morsa della droga o colpiti dalla Hiv. Dal 1980 a oggi sono oltre 2500 le persone che hanno fatto parte del progetto tra Siligo, Uta e Sassari. Un progetto, per dirla nelle parole di padre Morittu, “che mette al centro l’Uomo”, affrontando mali che si chiamano eroina, cocaina ma anche cannabis, il cui principio attivo negli anni è cresciuto così tanto da triplicare gli effetti deleteri sull’alterazione dell’aspetto sensoriale.

Infine, c’è anche chi, nell’isola dell’individualismo, è riuscito a mettere insieme quattro realtà molto differenti nel campo dell’agricoltura sociale, con il network Solidarietà Consorzio, che oggi dà lavoro a duecento persone e punta non solo sull’inclusione e l’educazione di minori ma anche di persone svantaggiate e malati psichiatrici.

Esempi che, come sostiene l’economista dell’Università di Cagliari Vittorio Pelligra, “aprendo spazi nelle nostre comunità e affidando loro responsabilità”dimostrano come il terzo settore possa avere un ruolo guida nella crescita anche economica del nostro territorio. Purché, sostiene l’arcivescovo Baturi, si arrivi a un “pensiero” con la capacità di “immaginare un cambiamento dell’assetto della società e una visione complessiva del suo sviluppo”.

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