Portava il nome della nonna materna, Maria Giacobbe. «Maria Francesca», precisava lei, che ne ha rievocato la figura nelle pagine di tanti dei suoi romanzi, primo fra tutti “Le radici”, pubblicato nel 1975 e poi riedito da Il Maestrale. «È stata lei, senza dubbio, una delle figure fondamentali della mia vita», raccontava la scrittrice nuorese. «Nonna era semianalfabeta, leggeva appena i libri di chiesa e con fatica controllava gli avvisi di pagamento dell’esattoria, ma aveva una finezza di modi e un’eleganza tali che nessuno mai, in sua presenza, osava pronunciare parole grossolane».

Maria Giacobbe è morta lo scorso 27 gennaio a Copenaghen dove viveva con la famiglia dal 1957. Aveva 95 anni e una statura di scrittrice internazionale che ha saputo conservare il suo sguardo verso i luoghi d’origine, condividendo con i lettori la storia della sua famiglia e i fantasmi della memoria. La lontananza del padre, Dino Giacobbe, antifascista combattente repubblicano in Spagna e poi esule negli Stati Uniti; la fiera resistenza della mamma, Graziella Sechi, tormentata dal regime; il magistero della nonna, matriarca che fino all’ultimo giorno governò la famiglia con polso e saggezza.

Ne aveva parlato dieci fa, in un’intervista per i suoi 85 anni. «La ricordo seduta sulla sua piccola seggiola impagliata, in cortile oppure davanti al camino. Era ormai quasi immobilizzata dai reumatismi, problema che affligge tutta la mia famiglia. Vedo ancora le sue mani bianche, e le dita che sgranavano il rosario».

Si chiamava Maria Francesca Guiso Pirari e aveva sposato Giovanni Sechi, ricco prinzipale originario di Fonni, vedovo e padre di tre bambini. Lei era la giovanissima nipote della defunta e portava in dote un ricco patrimonio, nonché grazia e dolcezza. «Arrivarono dieci figli, quattro dei quali morirono ancora bambini - raccontava Maria Giacobbe -. Quello dei miei nonni fu un matrimonio d’amore. C’erano tra loro gesti di devozione e tenerezza molto inconsueti per quell’epoca. I nomignoli affettuosi, ad esempio». Un amore che divenne ancor più forte dopo quel che accadde a Nuoro nella notte tra il 14 e il 15 maggio 1899. La notte di San Bartolomeo, quando - per ordine del governo che intendeva così estirpare il banditismo - il paese venne messo a ferro e fuoco da un esercito di soldati e carabinieri. Tra gli arrestati (un migliaio, poco più di cento furono poi i condannati) c’era anche Giovanni Sechi, che allora era consigliere comunale e presidente della Società operaia. «Durante l’assenza del marito, nonna curò non solo gli affari della campagna ma anche i rapporti con gli avvocati». Lei che fino ad allora non era mai salita sul treno, viaggiava a Cagliari per far sì che venisse garantita la miglior difesa al padre dei suoi figli. E così fu, difatti. Il marito venne presto scarcerato, Maria Francesca scese da cavallo e poté tornare al suo ruolo di regina della casa.

Forse perché in realtà il matriarcato in Barbagia è un falso mito? «È una questione molto difficile e controversa», spiegava Maria Giacobbe. «Certo, le decisioni importanti riguardo il patrimonio e l’economia della famiglia, ad esempio vendere o comprare terra e bestiame, venivano prese dal marito. La donna, però, comandava in casa, aveva un’autorità morale superiore a quella dell’uomo, e basti pensare solo alla gestione della vendetta. Era lei, poi, che educava e dava la lingua ai figli». Un matriarcato monco, autorità da un passo indietro, che Maria Giacobbe rivedeva nelle sue conterranee.

«Diverse volte, anni fa, e parlo di dopo il ‘68, mi ha irritato l’atteggiamento delle mie concittadine che, durante un convegno o comunque un incontro pubblico, occupavano sempre le sedie in fondo alla sala, lasciando regolarmente libere le prime file che naturalmente venivano invase dagli uomini. Era, questo, un sintomo non tanto di soggezione ma del non sentirsi importanti, protagoniste in un luogo pubblico. Quante volte, poi, in Barbagia le donne si sono sentite dire “Ite ti credes?” , cosa credi di essere? stai al tuo posto. Un monito carico di disprezzo. Ecco, sarebbe bastato, e nel caso basterebbe rispondere “Ite mi credo? Mi credo una persona”». Nonna Maria Francesca, diceva Maria Giacobbe, così avrebbe risposto.

Rimasta vedova, indossò il lutto e non mise più piede fuori di casa, nemmeno per andare a messa. Da qui, da dentro le mura del fortino di Santu Predu, rione storico di Nuoro, governò la famiglia e cercò inutilmente di difendere la figlia e il genero dalle incursioni della storia più grande. La dittatura fascista e poi la guerra.

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