Nei giorni scorsi l’istituto Spallanzani di Roma ha dedicato un’aula a due infermieri: Giovanbattista Coccia e Anna Aurelia Floris. Quest’ultima era originaria di Desulo. È morta nel 2020 a Roma (aveva 57 anni) mentre insieme a tanti colleghi era in trincea per affrontare l’emergenza Covid. Annetta, come la chiamavano amici e parenti, era una combattente al servizio del prossimo. Capelli nero corvino, occhi vispi, spiritosa, instancabile, viveva il lavoro come una missione. Se n’è andata nella sua casa della capitale, stroncata da un malore improvviso. Qualche giorno fa i colleghi e la direzione dell’ospedale romano le hanno intitolato un’aula destinata ai corsi di formazione. È stata un cerimonia semplice, ma di grande impatto emotivo tra lacrime, ricordi e sorrisi.

La cerimonia a Roma

Il fratello Chicco ha raggiunto Roma insieme ai figli Marco e Giovanni. C’erano anche i nipoti Gianni e Shana, insieme alle cugine Alessandra Garau, Maria Grazia Floris e all’amico Gianpino Liori. «Ho provato una grandissima emozione – racconta il fratello – nel mio intervento ho ringraziare l’azienda. È stato un gesto bellissimo, una grande manifestazione di stima e di affetto per Anna e allo stesso tempo anche per noi. Un grande abbraccio che ci ha commosso. Non è stato facile pronunciare quelle poche parole durante la cerimonia. Ancora una volta ci ha reso orgogliosi del ricordo che ha lasciato, quello di una donna generosa che amava il suo lavoro e il contatto con le persone. Ringrazio di cuore lo Spallanzani e tutte le persone che in questi giorni hanno ricordato Anna anche sui social».

Al servizio del prossimo

Dopo il diploma di maturità nell’istituto professionale di Desulo insieme a un gruppo di compaesani aveva dato vita a una cooperativa sociale. «Ci occupavamo dell’assistenza agli anziani – ricorda Gianpino Liori, amico e socio fondatore della coop – lei era solare, sempre disponibile con tutti. Gli anziani la aspettavano perché era in grado di far star bene le persone. Le faceva sorridere anche quando stavano molto male. Ricordo sempre quella esperienza. Mi fa piacere che la sua azienda con questo gesto abbia voluto ricordare le due doti umane e professionali».

Nel 1997 è stata assunta in una casa di riposo in Piemonte. In seguito, una volta tornata in Sardegna, ha lavorato a Sassari e Cagliari. Nel 1999 è arrivata la chiamata dallo Spallanzani. «Si trovava molto bene a Roma – ricordano i parenti – amava il suo ambiente di lavoro anche quando gli impegni si sono moltiplicati». Il riferimento è all’emergenza Covid, quando la pandemia ha stravolto le vite di tutti mettendo a dura prova la tenuta del sistema sanitaria nazionale. Annetta ha affrontato il lavoro moltiplicando le energie. «Ci metteva l’anima – raccontano i cugini – non conosceva la fatica, ma probabilmente come tutto il personale sanitario ha vissuto momenti di grande impegno».

Infermieri e covid

In un interessante articolo pubblicato sul sito dell’Università medica internazionale di Roma la docente Dhurta Ivzicu, del corso di laurea in infermieristica, fa un’analisi di quanto accaduto nel periodo del coronavirus. «La pandemia – scrive – ci ha reso consapevoli della fragilità del nostro sistema sanitario. La prima criticità riguardava il disequilibrio tra il bisogno di cure e la disponibilità di risorse del Ssn. Abbiamo toccato con mano la carenza di staffing, di posti letto per ricoveri acuti, di materiali essenziali per le cure, di processi standardizzati e percorsi sicuri. Nonostante le carenze presenti, gli infermieri si sono distinti per la dedizione, la disponibilità, il sacrificio, la professionalità, il senso etico e l’umanità nel soddisfare la richiesta di cure dei malati. Innanzitutto, gli infermieri, con grande coraggio, dedizione e professionalità, hanno lavorato sodo, mettendo a rischio la loro stessa salute, per salvare vite umane, garantire la continuità delle cure, e contenere la diffusione del virus. Durante tutta la pandemia, gli infermieri hanno affrontato turni lavorativi lunghissimi, in condizioni estenuanti, rinunciando a giorni di riposo, per coprire la carenza di staffing. Questo ha causato un carico di lavoro eccessivo, con un notevole impatto fisico, mentale ed emotivo».

© Riproduzione riservata