In poco più di dieci anni è diventato il più universale dei modi per comunicare. Un’ascesa inarrestabile. Il primo uso pubblico della parola risalirebbe a vent’anni fa, ma questa è preistoria, perché la storia vera del selfie, l’autoritratto digitale più famoso di un Van Gogh o di un Rembrandt, comincia una decina di anni fa quando l’Oxford dictionary lo elegge vocabolo dell'anno. E quasi immediatamente dopo, il termine fa il suo ingresso trionfale nel dizionario della Treccani.

Dieci anni dopo, il fenomeno selfie è ancora una marea inarrestabile di foto in crescita esponenziale. La giornata mondiale dello scorso 21 giugno dedicata al selfie lo ha testimoniato. Si scatta in ogni momento, si condivide in tempo reale. Evviva il narcisismo, malattia della modernità ancorata all’undicesimo comandamento: “Vivi solo se appari”. Se poi il concetto per alcuni dovesse virare al filosofico niente paura, basta guardare la stragrande maggioranza dei selfie sui social per capire che di filosofico c‘è ben poco. Allora una domanda? Ma sono davvero tutti narcisisti quelli che scattano selfie? Dorian Gray impallidirebbe, è sicuro. Lui, narciso per eccellenza, è un dilettante al confronto delle schiere di ossessionati della propria immagine che riempiono i profili social, che lasciano opinioni non richieste e fatti personali (sulle didascalie che accompagnano spesso i corpi seminudi in mostra si potrebbe scrivere una tesi di laurea in sociologia), convinti che il mondo non possa che interessarsi a ciò che mangiano, pensano, fanno. Un’invasione di ego ipertrofici che da tempo non si esaurisce con chi è famoso, ma riguarda tutti. Un tempo, infatti, era circolo solo dei vip. Oggi sia il fruttivendolo sotto casa, che la parrucchiera all’angolo “rischiano” di diventare influencer. “Colpa di una società che spinge l’acceleratore sull’individualismo”, si affannano a spiegare i sociologi americani. Nell’idea che la bassa autostima possa danneggiare la riuscita dei figli nella vita, forse ha un ruolo (negativo) anche la famiglia: mamme e papà hanno preso a difendere a spada tratta i propri figli in ogni circostanza, per proteggerli da qualsiasi commento negativo e convincerli del loro (altissimo) valore. Allevando, così, schiere di vanitosi che poi studiano per diventare influencer sui social network.

Al di là di come la si pensi, è difficile negare che i social grondino di innamorati di se stessi. Però non è certo che i social facciano diventare narciso chi non lo è le cause che portano a sviluppare questo tratto di personalità sono tante e complesse. Una, dicono psicologi e psichiatri, sembra per esempio la mancanza di autostima. Chi esibisce una smisurata ammirazione per se stesso, infatti, può essere in realtà molto insicuro e difendersi dalla paura della propria insicurezza costruendosi un sé apparentemente eccellente in tutto. E’ davvero così? Nessuno può rispondere con certezza. Certo è che l’estate sembra essere la stagione ideale per i narcisi, intenti a postare compulsivamente foto sui social dalle spiagge: in costume, cadono i residui freni inibitori alla voglia di apparire. Molti degli utilizzatori seriali di aste da selfie sono però narcisisti innocui: in loro l’idea di essere speciali è un tratto della personalità senza grosse conseguenze. Si limitano a piacersi, parecchio, e a dimostrarlo appena possibile. Tuttavia il narcisismo può diventare anche un vero disturbo della personalità. Quando la fantasia di grandiosità e unicità pervade tutti i comportamenti, provocando problemi lavorativi, sociali, relazionali, allora diventa un problema. Il narcisista “vero”, dicono gli esperti, non si cura di nessuno al di fuori di se stesso, crede che gli sia dovuto tutto e subito, si aspetta di essere ammirato e lodato senza condizioni, è arrogante e presuntuoso, spesso anche manipolatore e molto selettivo nei confronti degli altri, perché vuole frequentare solo chi pensa che potrà offrirgli un tornaconto. Soprattutto, non ha capacità di empatia, non riesce a mettersi nei panni degli altri perché proprio non li vede, o quasi. Ma qui siamo nel campo dei disturbi psichici.

E se invece il selfie fosse più banalmente un oggetto narrativo con cui giocare e raccontarsi? E chi lo sa. Certo, però, è che ogni selfie contiene decine, centinaia di altri selfie. Detto diversamente: quanti selfie ci vogliono per ottenerne uno perfetto? Se guardassimo le gallery nel cellulare di molte persone si vedrebbero distese, praterie riservate alle prove di selfie. E questa non sarebbe la testimonianza che dietro tutto c’è un bel fondo di narcisismo?

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