Misteri, primule rosse e lenzuoli bianchi: il sequestro di Farouk Kassam dalla cronaca alla fiction
Al via dal primo ottobre le riprese della serie tv che andrà in onda su Rai UnoPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Farouk Kassam oggi si sente libero. Non ha dimenticato quella notte terribile del 15 gennaio 1992 quando si è materializzato per lui il principe degli incubi dei bambini, l’uomo cattivo che ti strappa dal tuo lettino, le umiliazioni, le violenze, la paura della prigionia. Ma ha attraversato un lungo percorso, come ha raccontato nell’ultima intervista a “L’Unione Sarda”, che l’ha portato in qualche maniera a fare pace con quella storia, una delle più brutte della storia dell’Anonima sequestri sarda. Ma che in qualche modo ha segnato per l’Isola una svolta, per la prima volta una presa di distanza netta di una buona parte della popolazione sarda dai sequestratori, a maggior ragione di un bambino di sette anni che subì anche il taglio di una parte di orecchio.
E sono passati abbastanza anni anche per rivedere quella storia sotto forma di fiction. Nasce così la serie “177 giorni. Il rapimento di Farouk Kassam” che andrà in onda su Rai 1 in sei puntate. Le riprese prenderanno il via il 1 ottobre e andranno avanti per circa 12 settimane tra Sardegna e Campania. La serie è coprodotta da Rai Fiction - Bim Produzione. Diretta da Carlo Carlei (I Bastardi di PizzoFalcone), vede come protagonisti Marco Bocci e l'attrice francese Antonia Desplat nei ruoli di Fateh Kassam e Marion Bleriot, genitori di Farouk che sarà invece interpretato da Filippo Papa. Nel cast anche Rosa Diletta Rossi, Domenico Diele, Enrico Inserra, Mauro Addis, Rose Aste, Giacomo Fadda, Giulia Bellanzoni, Leonardo Capuano, Andrea Tedde e Martina Tore. La serie è scritta da Lea Tafuri, Antonio Manca e Vincenzo Marra ed è basata sul libro "Mio Figlio Farouk. Anatomia di un rapimento" scritto da Fateh Kassam, poco dopo la liberazione con la collaborazione del giornalista Marco Corrias. Il racconto, che unisce true crime e family drama, ha l’obiettivo dichiarato (e ambizioso) di rappresentare anche una fotografia del Paese degli anni Novanta, del ruolo dei media (tra i protagonisti due giornalisti) e dell’opinione pubblica.
Il sequestro mediatico
Sulla prima pagina de L'Unione Sarda l'appello di Marion Bleriot
Gli ingredienti ci sono tutti e sono quelli che hanno fatto del sequestro Kassam il più mediatico, il primo con le regie mobili delle tv piazzate davanti alla villa: fu il secondo blitz nell’inaccessibile Costa Smeralda, la famiglia è stata accostata all’Aga Khan (ma la parentela fu poi smentita), la tenera età dell’ostaggio, e più avanti, la comparsa sulla scena di due pezzi da Novanta del banditismo sardo accompagnati dal relativo velo di mistero, Matteo Boe sequestratore e presunto capo della banda e Graziano Mesina nel ruolo di mediatore che annunciò in anteprima la liberazione del bambino.
Uno dei momenti di più grande impatto emotivo l’appello di Marion Bleriot che il giorno di Pasqua, il giorno di S’Incontru, va da sola ad Orgosolo e sale sull’altare: «A voi, a tutte le mamme di quest’Isola, lancio il mio grido perché so che voi potete capirmi». Inizia da quel momento una straordinaria manifestazione di solidarietà, con i lenzuoli bianchi appesi alle finestre, ma il calvario di Farouk dura ancora tre mesi con un picco di orrore il 16 giugno quando in un pacchetto viene recapitato un ultimatum e un pezzo di orecchio del bambino.
La cronaca e i misteri
La cronaca racconta che la notte dell’undici luglio 1992 nella valle del Cedrino il bambino torna libero (senza pagamento di un riscatto, è la versione ufficiale) e riabbraccia la mamma a Porto Cervo alle 4 del mattino. Una liberazione che Graziano Mesina aveva annunciato parecchie ore prima sul Tg1, sostenendo il pagamento di un riscatto, con partecipazione statale.
La cronaca racconta anche che, tre mesi dopo, finisce la latitanza di Matteo Boe, la primula rossa di Lula sospettata del sequestro, arrestato a Porto Vecchio, in Corsica. In tasca un rullino, con le foto davanti a una grotta sul Montalbo, riconosciuta da Farouk come la sua prigione, e con due compaesani, Ciriaco Baldassarre Marras e Mario Asproni. Una storia processuale che si conclude con tre condanne e molti interrogativi aperti, compresa l’identità di buona parte dei sequestratori.