Certi vini hanno in dote l’aura narrativa del bello. Il Cannonau la possiede nel profondo, nel suo etimo. Si racconta che Maria Lai e Frida Kahlo si sarebbero incrociate in qualche epoca e avrebbero trascorso ore a raccontarsi. Una davanti all’altra con un bicchiere in mano: «Bevono cannonau ogliastrino e tequila messicana», testimonia la regista Marilisa Piga (“Soggetto post artista e post umano – oltre l’artista, oltre la vita”, cinemecum.it - luglio 2014), autrice con Nicoletta Nesler del bellissimo docufilm “Inventata da un dio distratto”. «Non parlano di arte e di cultura. Maria racconta la sua esperienza terrena di donna nubile e non madre (…). Frida racconta la sua vita di moglie del gran Diego muralista, dei suoi amanti e dei suoi reiterati e forzati aborti». Viene da pensare che in qualche modo con loro ci sia anche Marilisa.

STORIE Conversazioni, confidenze, intrecci, gomitoli di esistenze. Bagagli personali di un passato che attraversano un calice di Cannonau, forte del suo millenario carico identitario. Si entra così nell’orizzonte magnetico di un vino che ha affascinato esperti, intellettuali, studiosi o semplici appassionati. Non riguarda l’armonia gustativa, o non solo. E poco ha a che fare con l’aspetto edonistico. Il Cannonau, vitigno di un’Isola, si abbina alle esistenze, alle persone e ai volti più che al cibo. E quando questo avviene intesse relazioni straordinarie, cuce fiabe meravigliose di persone e paesaggi. Soprattutto moltiplica la rete di connessioni, proprio con quello stesso slancio all’ascolto che aveva dentro Maria Lai, artista di Ulassai, “giana sarda” (Giulio Angioi) di una terra storica di Cannonau. Lei, favolosa nell’annodare un intero paese. Anno 1981. L’8 settembre inizia il suo “gioco” Legarsi alla montagna a cui fu chiamata a partecipare l'intera comunità di Ulassai. Tre giorni in cui protagonista è un lungo nastro di stoffa azzurra che collega le case, entra nella vita domestica delle persone, attraversa gli ingressi, le finestre e assicura quelle esistenze quotidiane alla loro grande montagna: 27 chilometri di fettuccia che trapunta arte e vita. Ecco, vicino a quello scannisceddu in legno con Maria Elle, il suo bicchiere di Ogliastra, Frida Kappa con la tequila, siedono altre donne sarde oltre Marilisa Pi. Forse anche "lunadigas" (direbbe lei) ma tutte con il loro calice di Cannonau per raccontare e raccontarsi insieme a questo vino dai contenuti di poetica più che di palato.

Calici di Cannonau, foto di archivio
Calici di Cannonau, foto di archivio

Calici di Cannonau, foto di archivio

SUGGESTIONI «Se sei nata in Sardegna “Cannonau” è molto di più di una semplice uva o di un vino». È un colore, nella memoria artistica di Cristina Ariu, con le sue mani nelle argille sarde. «Cannonau è l'odore della fine dell'estate della mia infanzia in quanto figlia di un babbo che aveva la vigna e faceva il vino in casa. Sapevo che il Cannonau era quello che lasciava un colore quasi indelebile sulle tovaglia... Ecco, per me il Cannonau è soprattutto un colore che mi è tornato in mente, a distanza di una vita da quelle vendemmie, perché coi colori ci lavoro, faccio ceramiche colorate e per gioco mi piace vedere nei colori che uso particolari sfumature legate a ricordi lontani. Il celeste-credenzina-di-nonna, il verde-scannixeddu-di-nonno e soprattutto, aggiungendo una punta di blu al rosso scurissimo è entrato a far parte del personale pantone Ariuceramiche, anche il color Cannonau della nostra piccola Stontonada-Cannonau». La memoria olfattiva si rafforza vicino a quella domestica che nasce dall’ascoltare se stesse. Come ha fatto Rossella Faa, straordinaria cantante e musicista che da sarda ha tentato di spiegare a sé stessa il carattere di questo vino. «Lo trovo troppo maschio. Se fosse un essere umano sarebbe il figlio di un pastore, laureato in ingegneria e giurisprudenza. Troppo cummanderi. Per poter chiacchierare con lui si dovrebbe urlare». E lei ci prova. «Materie letterarie non ne ha mai studiato! Solo discipline di comando. “Le materie umanistiche sono roba da femmine!”, questa frase – rivela Rossella Faa - non è una mia affermazione, me l'ha detta il signor Cannonau in persona, l'altra sera mentre cercavo di conoscerlo e di capire come fosse». Apre e annoda una fiaba minima di quotidiane apparizioni, Francesca Puddu, artista unica, compositrice, musicista. E sommelier: «Zanzare e pensieri in piena attività stanotte. E visto che di sognare a occhi chiusi non se ne parla, mi bevo un bicchiere di Cannonau per sognare a occhi aperti. Allora mi visita l'immagine delle vigne risaie/sabbie mobili che ho visto qualche giorno fa fuori Faenza, e per contrasto l'immagine del terreno spaccato del vigneto di nonno, che da piccola mi sembrava un mucchietto di pezzi di un puzzle. Nonno aveva lo stesso portamento eretto del Cannonau, così papà e così mio fratello. Anche loro mi attraversano il bicchiere, papà con l'odore del grasso del fucile da caccia e mio fratello con lo scisto nero del Priorato. In questo bicchiere sento il mio maschile che mi imbaldanzisce quando devo guidare col volante a destra, arrampicarmi sui tini su per scale posticce e chiedere un tavolo da uno al ristorante. E che mi fa bere anche da sola ma senza esserlo mai>. Il Cannonau non è un vino. Spiega questo la vulcanica Maria Delogu, lei accanto a Frida. «È un nome. Anzi, è il mio soprannome. È iniziato per gioco, un po’ per colpa dei miei capelli rosso mogano, un po’ per la passione che scorre nelle mie vene. Così i miei amici hanno iniziato a dire che sprizzavo Cannonau da tutti i pori. Non che me lo facessi mancare… In verità, le nostre cene si svolgevano sempre con il solito protagonista: lui, fiero nella sua bottiglia scura, brillante nell’imperiale discesa verso il calice, indomito nella battaglia all’invadente acqua minerale. Il Cannonau era così, tiranneggiava le nostre serate, arricchiva le nostre cene ed io ero la sua fedele compagna. Ero la compagna anche di Corrado ma Cannonau, devo essere onesta, veniva prima, era l’Amore puro e incondizionato. Non mi giudicava mai, né quando lo assaggiavo appena, né quando approfittavo spudoratamente di lui. Mai, però, fino a star male, volevo essere sempre lucida per godere di tutte le sensazioni che mi regalava. La vita mi ha portata lontano, sul lavoro ho ripreso il mio nome di battesimo, ma in fondo al mio cuore sarò Cannonau per sempre». Francesca Ghirra, deputata sarda, porta la sua terra, zolle odorose di vigna che profumano la cucina di Maria Elle. «Quando penso al Cannonau non penso solo a un vino. Il gusto robusto e pieno evoca i profumi, gli odori, i colori, i rumori, le consistenze della Terra che lo produce. E così, crescendo, ho imparato ad apprezzarne gusto e connessioni con il territorio. È il legame con la natura aspra, con i riti e le tradizioni di quei territori, a renderlo davvero unico. Più di altri vini, è impossibile scindere il suo sapore dal mondo che rappresenta». Il grande libro imbastito dal vino, come le Fiabe cucite di Maria Lai, si colora di letture, poesie sfumate e ricordi, di commozione e affetti. Vanna Fois ha portato un'amica: Maria Grazia Cosima. «Come nuorese non posso non riferirmi alla nostra Deledda e lasciare a lei la parola e al suo modo di descrivere anche il vino che ricorre spesso nelle sue pagine: “...trascorrevano in vigna i pochi giorni necessari a raccogliere il frutto di un intero anno di lavoro, il frutto che Elia coltivava, curava e portava a maturazione salvandolo dagli attacchi famelici di animali terrestri e volatili.” “...quel vino leggero ma saporoso che aveva aiutato Cosima a comprare i francobolli e a spedire i suoi manoscritti.” (Cosima, Ilisso, 2005, p.114). Non c'era, e non c'è, nulla di male nel produrre vino, consumarlo e persino venderlo. Grazia Deledda ne parla in molti dei suoi romanzi, lo cita, in più di una occasione, a sottolineare momenti di festa, convivialità e, qualche volta, di tragedia. È la personalità dei consumatori, unita alla loro sfortunata sorte, che talvolta lo trasforma in un alleato pericoloso scatenando emozioni incontrollate e azioni impulsive. Non è certo il vino ad essere responsabile di ciò che accade. Ma tanto altro ancora è spiegato nel volume Il vino in Sardegna. 3000 anni di storia, cultura, tradizione e innovazione edito dalla Ilisso nel 2010. Credo che il Cannonau, questo liquido rosso profumato, espressione di convivialità e comunità, depositario di simboli e segreti – tra cui il mistero affascinante della longevità – rappresenti un ponte tra radici profonde e foglie che si allungano verso il futuro e va gustato, letto e trasmesso come sintesi di sapienza, sacrificio e amore per la propria terra, la Sardegna». Si racconta così Vanna Fois, sensibile esploratrice di dinamiche culturali, cofondatrice della casa editrice Ilisso.

GLI INTRECCI Quante voci possono ancora annodarsi con gli intrecci di Cannonau. Quella stessa complessità di relazioni analizzata da Italo Calvino nelle sue Lezioni americane, un groviglio di linee, sistemi di sistemi grazie all’incontro col vino, avrebbe detto il filosofo Nicola Perullo (Epistenologia, il vino come filosofia. Mimesis 2021). Ma ciò che sgomenta è qualcosa di più profondo. Questo nastro di esistenze il vino sardo non l’ha mai nascosto: bastava cercarlo nel suo nome. Il glottologo Salvatore Dedola ha la paternità di questa ricostruzione etimologica che affonda le radici nella lingua assiro-babilonese. Scrive Dedola: «”Cannonau” ha la sua base nella parola kannu usato come “germoglio alberello”. Componendolo con na‘u(m), nia’um “nostro”, ne risulta kannu-na’um col significato di alberello nostro, ossia alberello indigeno. Nell’epoca preromana – conclude – il Cannonau era un orgoglioso segno di identità, di unità nazionale per tutti i sardi». Ora il cerchio è completo: un filo di lana sarda che lega le genti del Gennargentu a quelle del Corrasi; i Tacchi al Limbara e ai paesi del Campidano, della Nurra e del Sulcis. Connette le Marmille e attraversa le case prossime alle antiche paludi dell’Oristanese. Una fettuccia porpora che si accosta a quella blu di Maria Elle.

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