C'era una volta la “palla al cesto”...

Seguendo le gesta di Danilo Gallinari, che sta trascinando da leader gli Atlanta Hawks nei playoff del campionato Nba degli Stati Uniti, è inevitabile inseguire i ricordi mettendo a fuoco la clamorosa trasformazione che ha fatto registrare la pallacanestro italiana negli ultimi decenni.

Negli anni Sessanta, quando ancora non si era spenta l'eco delle favolose Olimpiadi di Roma, sbarcò in Italia il primo coach americano: il suo nome, Lou Carnesecca, tradiva le origini nostrane ma al Palazzetto Nervi della Capitale, ancora tirato a lucido, una folla di tecnici italiani lo ascoltarono nel religioso silenzio che si concede soltanto ai profeti. Lui stupì all'esordio («Il basket è fatto di cose semplici, ma fatte bene»), poi sciorinò un interminabile elenco di esercizi per affinare la tecnica individuale e quella di squadra perché – non si stancò di suggerire – «anche le cose semplici devono essere ripetute all'infinito». Quel giorno terminò il pionierismo e l'Italia entrò nel futuro: nel basket.

La lunga strada oltre oceano

Da allora fu un susseguirsi di emozioni perché l'arrivo degli “stranieri” nel campionato italiano consentì ai giovani cestisti di affrontare, o anche soltanto di osservare, questi artisti della palla a spicchi, capaci di fare numeri straordinari. L'elenco dei fenomeni a stelle e strisce che hanno calcato i parquet dei palazzetti dello sport in Italia sarebbe interminabile, ma vale la pena rimarcare la breve, indimenticabile, parentesi illuminata da un fuoriclasse senza eguali: William Warren - più semplicemente Bill - Bradley, futuro senatore degli Stati Uniti, ma allora un giovanotto che studiava a Oxford e che l'Olimpia Milano (sponsorizzata Simmenthal) convinse a fare la spola con il capoluogo lombardo per aiutarla a conquistare il titolo europeo per club, considerato un traguardo irraggiungibile. «Bradley non gioca a basket, Bradley è il basket», scrisse Aldo Giordani, mitico cantore della pallacanestro italiana. Lo capirono tutti e da quel momento giocatori e allenatori italiani non si accontentarono più di accogliere i maestri statunitensi, preferirono invece inseguire il sogno americano, decisero che sarebbero stati loro a sbarcare nel paradiso del basketball.

I pionieri

Un segnale fortissimo, in questo senso, l'aveva lanciato anche Dino Meneghin (e chi altri avrebbe potuto farlo?) che venne scelto proprio dagli Atlanta Hawks, in un Draft virtuale perché l'inimitabile pivot azzurro si tirò fuori prima che cominciassero le “chiamate”. A tracciare la rotta furono però Stefano Rusconi e Vincenzo Esposito (1995) che spiccarono il volo rispettivamente verso Phoenix e Toronto. Nel 2006, Andrea Bargnani infranse ogni tabù risultando addirittura la prima scelta (evento unico) di Toronto. Un exploit che convinse i migliori talenti italiani a tentare quello che non era più un sogno ma un'avventura elettrizzante. Ecco nel gotha del basket anche Marco Belinelli che, nei 13 anni trascorsi sui palcoscenici Usa, ha collezionato perfino un titolo Nba con i San Antonio Spurs sulla cui panchina, al fianco del maestro Gregg Popovich, sedeva Ettore Messina, attuale coach di Milano. Belinelli, prima di tornare a Bologna dove proprio qualche settimana fa ha conquistato lo scudetto tricolore, negli Usa ha vinto anche la spettacolare “3 point contest” grazie a una serie incredibile di canestri realizzati dall'arco dei 7,25 metri.

Sulla sua scia un altro azzurro che sta facendo la storia del basket italiano, l'olbiese Gigi Datome, che è stato protagonista per due stagioni a Detroit e successivamente a Boston, prima di tornare a dominare le scene in Europa. E da Olbia è approdato a Phoenix anche Riccardo Fois, uno degli assistenti del coach Monty Williams.

Ma l'Isola non ha esaurito i propri talenti e in pista di lancio, ora, c'è il cagliaritano Sasha Grant, appena 19 anni, oggi in Germania nelle fila nel Bayern Monaco e ancora memore degli esordi «sul campetto di Dolianova» e successivamente nella palestra dell'Esperia, trampolino delle sfide in Eurolega. Una tappa intermedia, dicono gli esperti, verso la conquista dell'America. Un obiettivo, non più un sogno.

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