«L’attacco in acque internazionali dell’esercito israeliano alla Flotilla è illegittimo»
L’avvocato Masia, esperto di diritto internazionale e militare: «L’azione della Marina non trova ragione in alcuna norma di diritto, ponendosi come atto arbitrario»Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
«L’attacco in acque internazionali dell’esercito israeliano alla Flotilla è certamente illegittimo». Massimiliano Masia, avvocato cassazionista esperto di diritto militare, è il Legal advisor (Legad) dell’Esercito. Durante la sua carriera, come Legad, è stato impegnato all’estero nei teatri operativi in Afghanistan, Iraq e Bosnia.
Avvocato, la Flotilla ha compiuto secondo il diritto internazionale un atto illegittimo?
«Premetto che le mie valutazioni saranno di carattere giuridico internazionale e non saranno influenzate da una qualsivoglia connotazione politica. Appare evidente che condurre un’imbarcazione in acque internazionali con intenti umanitari e pacifici non può che trovare una sua intrinseca legittimità, non potendo la stessa azione essere contraria, anzi stimolata dalle stesse Convenzioni di Ginevra del 1949, ai principi di diritto internazionali. Per contro, l’azione militare della Marina israeliana non trova ragione in alcuna norma di diritto, ponendosi come atto illegittimo e arbitrario».
L’azione militare israeliana in acque internazionali è da ritenere legittima?
«L’azione militare israeliana, ai danni di una pluralità di imbarcazioni battenti differenti bandiere straniere e sulle quali non vi era giurisdizione alcuna, è sicuramente un atto contrario al diritto internazionale e non legittimato, a differenza delle dichiarazioni di parte israeliana, da alcuno stato di necessità militare, scriminante che avrebbe potuta essere invocata ma che nel caso di specie non può trovare applicazione alcuna. La condotta illegittima si è inoltre aggravata, avendo costretto le stesse imbarcazioni a dirigersi con la forza presso il porto israeliano di Ashdod per essere poi i loro occupanti essere consegnati alla polizia locale per il trasferimento al carcere di Ketziot, nel deserto del Negev. L’arresto, infatti, appare illegittimo, non potendosi comprendere quale Convenzione internazionale sia stata violata navigando le stesse imbarcazioni, come detto, in acque internazionali ed in modo pacifico e non potendo essere certamente considerate un “obiettivo militare”; circostanza che avrebbe potuto farle transitare da una condizione di “No strike list” a quella appunto di obbiettivo militare. Israele ha così violato gli articoli 18 e 19 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, che vietano qualsiasi intervento armato a bordo, omettendo di garantire il passaggio inoffensivo e umanitario delle imbarcazioni, affermando una giurisdizione esclusiva che le era preclusa».
Come si inquadra secondo il diritto internazionale il conflitto israelopalestinese?
«Sul punto, appare evidente che non si possa parlare di una guerra nel senso tecnico/giuridico del termine. Sicuramente se così fosse Israele avrebbe riconosciuto implicitamente lo Stato della Palestina come parte in conflitto e non mi pare che questo dal punto di vista giuridico possa avvenire. Per contro, ritengo che l’azione intrapresa da Israele possa considerarsi, a seguito degli eventi del 7 ottobre, una rappresaglia armata, riconosciuta certamente dal diritto internazionale, ma con alcune limitazioni. Infatti la sua corretta applicazione avrebbe dovuto trovare una proporzione tra l’offesa illegittima e la rappresaglia armata legittima. In questo caso si è andati oltre perpetrando una condotta armata, a tutt’oggi in atto, in violazione di ogni principio di diritto internazionale».
Le acque internazionali si sono trasformate in zona di guerra?
«La definizione è molto arbitraria perché parte dal presupposto che chi definisce come zona di guerra una determinata area geografica determina arbitrariamente le norme di diritto internazionali applicabili. Così appare tale la estensione a zona di guerra, data da Israele, alla parte di mare antistante la Striscia di Gaza, operando sin dal 2007 un blocco navale a tutte le imbarcazioni in transito verso tale porzione di mare; giurisdizione che non avrebbe avuto secondo la Convenzione di Montego Bay non essendo Israele lo Stato rivierasco. Ritengo quindi che in questo caso si debba parlare genericamente di Zona di operazioni militari che nel caso di specie avrebbe comportato per i civili che si recavano in tale zona l’assunzione di un rischio personale ma non certamente la violazione di norme di diritto internazionale».
Gli arresti dei nostri connazionali e degli altri attivisti come si concluderà?
«È difficile dare una risposta a questa domanda. Come legad, che ha operato in contesti internazionali di guerra, posso dire che in questo momento ai nostri connazionali, i quali si trovano in uno stato di detenzione in un paese straniero in “guerra” e che li trattiene come “prigionieri”, devono essere garantite le tutele del Diritto Umanitario. Certamente poi bisognerà capire come lo Stato di Israele voglia identificare tali “prigionieri”. Come autori di reati? ed allora bisognerà attendere l’esito di un processo per poi eventualmente espellerli, ovvero ritenerli soggetti indesiderati e, a prescindere da una qualche commissione di reati, espellerli immediatamente».
Come dovrebbero comportarsi l’Italia e i paesi dei manifestanti arrestati?
«Il Diritto Internazionale, come dico oramai da troppo tempo, è stato più volte violentato e vilipeso ed ora, stante le molteplici violazioni da parte di una pluralità di Stati, azioni rimaste impunite, appare inefficace e privo di capacità applicativa. Su come dovrebbe comportarsi lo Stato italiano è molto difficile rispondere, anche perché tale risposta esula da valutazioni giuridiche ed attiene alla sfera politica. Certamente non posso che avere in mente le vicissitudini dei marò, ai quali era stata garantita una veloce soluzione del loro caso».