Le imprese artigiane in Italia alzano bandiera bianca. L’ultima indagine redatta dalla Cgia, l’associazione artigiani e piccole imprese di Mestre si traduce in cifre impietose, certificando una crisi che non risparmia l’industria manifatturiera ma che colpisce in particolar modo le imprese a conduzione familiare. Le cause sono molteplici e andrebbero analizzate una per una per arrivare a comprendere le ragioni di questo crollo verticale delle partite Iva.  Molti artigiani hanno chiuso bottega e sono diventati lavoratori dipendenti oppure sono andati ad accrescere le fila dell’esercito di sfaccendati per forza. “Il forte aumento dell’età media, provocato in particolar modo da un insufficiente ricambio generazionale, la feroce concorrenza esercitata dalla grande distribuzione e in questi ultimi anni anche dal commercio elettronico, il boom del costo degli affitti e delle tasse nazionali/locali – osserva l’ufficio studi dell’organizzazione di categoria - hanno spinto molti artigiani a gettare la spugna. I consumatori, inoltre, hanno cambiato il modo di fare gli acquisti. Da qualche decennio hanno sposato la cultura dell’usa e getta, preferiscono il prodotto fatto in serie e consegnato a domicilio. La calzatura, il vestito o il mobile fatti su misura sono ormai un vecchio ricordo; il prodotto realizzato a mano è stato scalzato dall’acquisto scelto sul catalogo online o preso dallo scaffale di un grande magazzino”.

In un report di 9 pagine, basato anche su rilevazioni Inps, la Cgia traccia un quadro a tinte fosche, rilanciando i timori espressi da diverse realtà produttive, e sforna cifre che fanno rabbrividire. In testa alla classifica delle saracinesche che si sono abbassate e dei laboratori che hanno chiuso negli ultimi dieci anni ci sono le provincie di Vercelli e Teramo (27,2 per cento) mentre Lucca completa il podio con -27. La crisi dunque non risparmia le regioni più ricche, mentre in Sardegna alcuni dati risultano fortunatamente in controtendenza rispetto a quelli che caratterizzano territori pur economicamente più solidi.

L'andamento del settore artigiano in Italia nel decennio 2012-2022 (Cgia Mestre su dati Inps)
L'andamento del settore artigiano in Italia nel decennio 2012-2022 (Cgia Mestre su dati Inps)
L'andamento del settore artigiano in Italia nel decennio 2012-2022 (Cgia Mestre su dati Inps)

Il risultato regionale complessivo è come un bicchiere mezzo pieno. L’Isola è decima in classifica, a metà del guado, con un meno 17,5 complessivo. Oristano nella graduatoria della desertificazione produttiva è 29^ (-20,3%), Sassari 49^ (-18.2%), Cagliari 57^ (-17,4%), mentre Nuoro è sotto la media nazionale. Respira perché in provincia dal 2012 al 2022 si sono arrese soltanto 15 imprese su cento. Più forte è l’artigianato, verrebbe da dire, dove più forte è l’identità. Dal tessile, al ferro, all’agroalimentare.

I culurgionis rappresentano un simbolo dell'identità ogliastrina a tavola (Elisabetta Loi)
I culurgionis rappresentano un simbolo dell'identità ogliastrina a tavola (Elisabetta Loi)
I culurgionis rappresentano un simbolo dell'identità ogliastrina a tavola (Elisabetta Loi)

“Il fare, l’inventare e il confezionare sono struttura portante nella comunità”, sostiene Bachisio Bandinu, antropologo di Bitti e grande studioso delle tradizioni popolari. “A noi interessa che le realtà artigiane sopravvivano anche come patrimonio identitario ma c’è l’esigenza che tessitura e oreficeria sarda, tanto per citare due esempi d’eccellenza, siano rese più attuali”. Bandinu non demonizza la tecnologia che nel processo produttivo “può intervenire senza sacrificare la genialità e l’estro dell’artista”. All’antropologo piace parlare di identità in cammino, al passo con i tempi, “perché quanto più un prodotto è identitario, tanto più ha mercato.  La tradizione va risignificata, in modo da farle conquistare le esigenze e le aspettative di oggi”. Bachisio Bandinu racconta di aver visitato di recente a Nuoro il Museo della ceramica, definendolo “un esempio di come produrre artigianato di qualità, appetibile sul mercato e al passo con i tempi”.

Bachisio Bandinu, antropologo di Bitti (Pillonca/L'Unione Sarda)
Bachisio Bandinu, antropologo di Bitti (Pillonca/L'Unione Sarda)
Bachisio Bandinu, antropologo di Bitti (Pillonca/L'Unione Sarda)

In Barbagia l’opera degli artigiani è di valore. “A Nuoro esistono grandi maestri, tradizioni radicate, eccellenze in diversi settori”, dice l’oranese Roberto Ziranu, che da fabbro-artista di quarta generazione ha prodotto autentici gioielli e da ultimo inciso I dodici graffi, galleria di ritratti di sardi illustri rigorosamente in ferro. “Dobbiamo stimolare i ragazzi e avvicinarli al mondo dell’arte, dell’artigianato  ma ancor prima al mondo del lavoro in modo che questi antichi saperi non si perdano. Le mie produzioni non costituiscono un patrimonio mio  ma della società, E chi non ha la fortuna di crescere in una famiglia di artigiani abbia comunque la possibilità di toccare con mano la materia e avere la possibilità di apprendere un mestiere”. 

Roberto Ziranu, artista del ferro di Orani (L'Unione Sarda)
Roberto Ziranu, artista del ferro di Orani (L'Unione Sarda)
Roberto Ziranu, artista del ferro di Orani (L'Unione Sarda)

Al di là delle peculiarità territoriali, ciò che preoccupa di più il comparto è il dato complessivo a livello nazionale. “Sono ormai ridotte al lumicino – si legge nel rapporto della Cgia di Mestre - le botteghe artigiane che ospitano calzolai, corniciai, fabbri, falegnami, fotografi, lavasecco, orologiai, pellettieri, riparatori di elettrodomestici e Tv, sarti, tappezzieri”. Non è un caso se nei piccoli paesi così come nelle grandi città spariscono i mestieri, vengono meno pezzi di vita e di storia nei piccoli quartieri delle grandi realtà urbane e nei vicinati dei villaggi. Per l’associazione veneta degli artigiani però sarebbe riduttivo e semplicistico ridurre tutto a questioni prettamente economiche. La Cgia solleva anche un problema culturale. “Negli ultimi 40 anni – rileva - c’è stata una svalutazione culturale spaventosa del lavoro manuale. L’artigianato è stato dipinto come un mondo residuale, destinato al declino. E per riguadagnare il ruolo che gli compete ha bisogno di robusti investimenti nell’orientamento scolastico e nell’alternanza tra la scuola e il lavoro, rimettendo al centro del progetto formativo gli istituti professionali che in passato sono stati determinanti nel favorire lo sviluppo economico del Paese. Oggi, invece, sono percepiti dall’opinione pubblica come scuole di serie b. Per alcuni, infatti, rappresentano una soluzione per parcheggiare per qualche anno i ragazzi che non hanno una grande predisposizione allo studio. Per altri costituiscono l’ultima chance per consentire a quegli alunni che provengono da insuccessi scolastici, maturati nei licei o nelle scuole tecniche, di conseguire un diploma di scuola media superiore. E nonostante la crisi e i problemi generali che attanagliano l’artigianato, non sono pochi gli imprenditori di questo settore che da tempo segnalano la difficoltà a trovare personale disposto ad avvicinarsi a questo mondo”. Con i corsi di formazione professionale spesso ridotti secondo una communis opinio a scuole figlie di un dio minore o parcheggi per ignoranti cresce la difficoltà delle aziende a reperire manodopera specializzata, ovvero ciò che serve a mettere in moto la macchina delle produzioni artigianali. Senza la mano e la genialità dell’uomo l’artigianato muore.

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