Duecento gradini di marmo bianco, cerniera tra il porto e la città, divisi in dieci sedute che li rendono comodo luogo di passeggio e d’incontro. La scalinata monumentale di Odessa, nell’Ucraina che la guerra ha reso più che mai familiare, considerata tra le dieci più belle d’Europa, è un gioiello architettonico consacrato dalla cinematografia con il film mito “La corazzata Potëmkin”. Ed è anche il simbolo visionario di un grande architetto, Francesco Carlo Boffo, che dà un’impronta neoclassica alla città, perla del Mar Nero. Una leggenda, fondata su un equivoco, collega Boffo alla Sardegna, soprattutto a Orani e Orosei. L’architetto, nato nel 1796 e morto nel 1867, avrebbe avuto lì le sue radici genealogiche.

Da questa tradizione tramandata nel tempo da fonti italiane prende le mosse la ricerca del museo Man di Nuoro per allestire una mostra di richiamo, “Odessa steps”, in corso fino al 25 giugno, salvo scoprire che in realtà Boffo non è sardo, ma svizzero. La svolta arriva grazie al lavoro compiuto da Giovanni Francesco Tuzzolino, Federico Crimi e Paolo De Marco, che curano la mostra e per prepararla consultano gli archivi di Stato di Torino e della Regione di Odessa dai quali emerge una storia diversa.

Una scena del film "La corazzata Potemkin"
Una scena del film "La corazzata Potemkin"
Una scena del film "La corazzata Potemkin"

Spiega la direttrice del Man, Chiara Gatti: «L’errore di una grafia interpretata scorrettamente ha tramandato nel tempo come Orosei il nome del paese di Arasio, in Svizzera, terra fertile di capomastri e di architetti, da Francesco Borromini a Carlo Maderno, amati e celebrati nella Roma barocca. Proprio in Canton Ticino, sul lago di Lugano, sarebbe dunque nato il “nostro” Boffo e tocca a questa mostra rimettere ordine sul tavolo di una biografia inesatta e lacunosa». La falsa convinzione iniziale, naturalmente, non toglie nulla al percorso espositivo allestito nelle sale del Man. Aggiunge Gatti: «Partire da una vicenda sarda – perché di fatto Boffo, grazie all’equivoco stravagante, resterà un sardo acquisito – significa oggi aprirsi al mondo, finalità di un museo che si ponga responsabilmente come luogo di ricerca e, insieme, di testimonianza».

La targa commemorativa dell'architetto Boffo sulla scalinata Potemkin tratta dalla mostra "Odessa steps" del Man
La targa commemorativa dell'architetto Boffo sulla scalinata Potemkin tratta dalla mostra "Odessa steps" del Man
La targa commemorativa dell'architetto Boffo sulla scalinata Potemkin tratta dalla mostra "Odessa steps" del Man

Tanti elementi nel tempo concorrono ad alimentare l’equivoco, a iniziare dal cambio del cognome. Da Boffa, come registrato alla nascita, diventa Boffo una volta approdato a Odessa pare per assecondare la lingua locale dove la desinenza in a suscitava equivoci di genere. Boffo, che muore a Cherson il 10 novembre 1867, viene poi sepolto nel cimitero cristiano di Odessa che va però distrutto e dunque aiuta poco nella ricerca. Negli anni Trenta le origini sarde di Boffo vengono rilanciate sulla base della presenza molto radicata a Orani del cognome, risalente addirittura al Settecento. E poi c’è un altro elemento importante che associa la provenienza di Boffo al Regno di Sardegna, come riporta ancora l’enciclopedia di storia dell’Ucraina. Boffo, in effetti, studia architettura all’università di Torino tra il 1817 e il 1818, anni in cui i rapporti commerciali e diplomatici tra il Regno di Sardegna e il Mar Nero diventano molto forti per via dell’importanza del porto di Genova ma anche di scambi negli scali sardi. Non a caso nel santuario della Madonna di Bonaria a Cagliari si trovano ancora ex voto di naufraghi scampati alla tempesta che nel 1853 investe i vascelli commerciali partiti da Odessa.

Al di là delle vicende personali, resta la grande eredità dell’architetto che progetta molti edifici pubblici, come la Borsa, oggi il Municipio di Odessa, e tanti palazzi e residenze: nel 1825, assieme al collega Abram Melnikov, disegna la scalinata Potëmkin, costruita tra il 1837 e il 1841 per volontà del principe Vorontsov che sborsa 800 mila rubli per farne dono alla moglie Elizaveta. Acquista nel tempo vari nomi: Boulevard Mykolaivskyi, Scala gigante, Richelevskyi o Vorontsovskyi. Boulevard Feldman o Primorskyi. Uno è quello che la consacra per sempre e ancora resiste, ovvero Potëmkin, associata alla fortuna del film del 1925 di Sergej Michajolovic Ejzenstein. Racconta la rivolta dei marinai della nave Potëmkin che dà avvio alla rivoluzione russa del 1905, culminata con la strage delle truppe zariste a Odessa.

I soldati sparano sulla folla in una scena del film "La corazzata Potemkin"
I soldati sparano sulla folla in una scena del film "La corazzata Potemkin"
I soldati sparano sulla folla in una scena del film "La corazzata Potemkin"

La scalinata è il luogo del dramma, almeno nella finzione cinematografica perché secondo la verità storica il massacro si consuma di notte nelle strade vicine. Nel film i soldati mirano alla folla, sparano senza pietà, mentre la gente inerme scappa come può. La sequenza drammatica è di grande impatto: la carrozzina che scivola nella scalinata, il ragazzo ucciso, i primi piani di persone travolte dalla disperazione, i soldati che incombono dall’alto con i fucili ben allineati. Un film celeberrimo il cui mito va di pari passo con quello della scalinata di Odessa disegnata da un architetto la cui biografia, grazie alla mostra del Man, ora è meno misteriosa di prima.​​​​​​​​​​​​​​

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