Caparbio nonostante l’età s’era messo davanti al camion di soldati giunti a Pratobello. “Si sposti e ci lasci passare”, gli dicevano i militari. “Io ho quasi cento anni e se mi fate del male non so se voi camperete cento anni come me”. Ziu Battista Corraine, Zoeddu per i suoi compaesani di Orgosolo, ha forza di carattere che in quelle storiche giornate del 1969 diventa indiscussa autorevolezza. È uno dei protagonisti della rivolta pacifica entrata nella storia e nel cuore di Orgosolo, rievocata ora in un libro dove i documenti ufficiali e le cronache sui giornali del tempo si uniscono alle spettacolari immagini in bianco e nero di una moltitudine in marcia per difendere i pascoli di Pratobello dall’occupazione militare e ai nomi di uomini e donne in prima linea. Un viaggio nella memoria dal titolo “Orgosolo lotta di Pratobello 1969” dove si ritrovano i volti di grandi e piccoli, radunati attorno al megafono del banditore Luigi Pilconi, i camion dei militari e quelli dei civili carichi anche di bambini. In 270 pagine il sindaco Dionigi Deledda ripercorre la sequenza dei fatti iniziata quando il 27 maggio 1969 Orgosolo si ritrova i muri tappezzati di manifesti: la Brigata Trieste intima lo sgombero del bestiame dai pascoli di Pratobello per far posto ai militari e a un poligono di tiro. In quei giorni di primavera, da sempre, i pastori di Orgosolo hanno bisogno dei 14 mila ettari di Pratobello per le loro greggi: sono terre pubbliche, ma anche private. Una decisione così, calata dall’alto all’improvviso, non può passare. Il paese reagisce con la protesta pacifica.

Ziu Battista Corraine, noto Zoeddu, sfidò i mezzi militari (foto concessa)
Ziu Battista Corraine, noto Zoeddu, sfidò i mezzi militari (foto concessa)
Ziu Battista Corraine, noto Zoeddu, sfidò i mezzi militari (foto concessa)

Il primo giugno scende in campo il circolo giovanile, il 4 i sindacati di contadini e pastori chiedono un incontro al commissario prefettizio, il 7 tutta la comunità è in piazza a decidere la mobilitazione. Il 9 giugno la popolazione raggiunge come può - a piedi, in auto o in camion – l’altopiano di Pratobello. Le foto delle adunate nell’attuale piazza Caduti, allora piazza Patteri, e delle frotte in cammino mostra giovani donne con la tradizionale gonna lunga e bimbi al seguito, altre con gli abiti nuovi della modernità, anziane con scialle e mucadore, uomini con il berretto stipati sui camion. Una comunità convinta della sua forza, decisa a farsi valere schierando tutta la sua unità. È il primo atto dell’occupazione che si compie il 19 giugno 1969 quando tremila persone si riversano a Pratobello. Le assemblee, anche notturne, si susseguono. Il 20 giugno è giornata tesa. “Gli orgolesi trovano la strada sbarrata dai mezzi della polizia. I manifestanti non demordono, alcuni scendono dai mezzi e vanno a piedi, altri tengono duro di fronte alle forze dell’ordine, prima cercando il dialogo poi addirittura spostando a mano le camionette”, ricorda Deledda. Arrivano le forze speciali dell’esercito. Lo Stato schiera circa 4 mila uomini. Scattano fermi e arresti. Seicento manifestanti vengono accerchiati in un recinto, poi processati per direttissima per violenza e resistenza a pubblico ufficiale.

I militari schierati per bloccare le proteste a Pratobello (Foto concessa dall'autore del libro)
I militari schierati per bloccare le proteste a Pratobello (Foto concessa dall'autore del libro)
I militari schierati per bloccare le proteste a Pratobello (Foto concessa dall'autore del libro)

L’allora sottosegretario alla Difesa, Francesco Cossiga, convoca a Roma una delegazione di orgolesi. Dai compaesani ha il mandato di “discutere, ascoltare, trattare ma non di decidere”. Due giorni di tregua: i militari fermano le esercitazioni mentre gli orgolesi continuano il presidio a Pratobello guardando al vertice romano. Ad accogliere la delegazione è il senatore Antonio Monni, orgolese pure lui. Lo Stato è pronto al dietrofront. La delegazione torna a casa con un documento che Bore Sanna, pastore ed ex assessore comunale, legge davanti all’assemblea: “Il poligono di Pratobello è temporaneo, le truppe sgombereranno alla metà di agosto e i terreni in tale data saranno restituiti ai pastori. Non vi è, allo stato attuale, alcuna decisione di trasformare il poligono in una istituzione permanente”. E poi: “L’amministrazione militare sentirà i pastori e le loro organizzazioni al fine di determinare la reale consistenza dei danni e la giusta misura degli indennizzi per gli sgomberi compresi i giorni delle agitazioni”. Ancora: “Si è data immediata disposizione al commissario della brigata di prendere contatto con pastori, macellai e fornitori di Orgosolo affinché gli acquisti possano essere fatti nello stesso comune che sinora è il solo ad avere subito danni”.

L'elicottero dell'Esercito sorvola Pratobello (foto concessa)
L'elicottero dell'Esercito sorvola Pratobello (foto concessa)
L'elicottero dell'Esercito sorvola Pratobello (foto concessa)

Per aver organizzato o partecipato all’invasione di Pratobello oltre sessanta orgolesi vanno a processo: vengono tutti assolti. L’unica condanna è per Giovanni Muravera, accusato di stampa clandestina. “Oggi, ai tempi di internet, questa condanna ha l’amaro sapore di una vera prevaricazione dello Stato ai danni della libera circolazione delle idee”, commenta Deledda che sulla rivolta sottolinea: “La straordinaria caparbietà ha determinato un arretramento dello Stato ed una vittoria senza precedenti di un popolo che ha reagito disarmato, ha lottato unito, dignitoso, fiero e coraggioso con la sola forza delle idee di libertà. La comunità di Orgosolo ha raggiunto tale sorprendente risultato spinta dalla consapevolezza che il bene terra, ereditato dai padri, è inestimabile ed inalienabile e dal totale disappunto per i soprusi e le imposizioni statali”.

Gli orgolesi nelle terre destinate alla base militare (foto concessa)
Gli orgolesi nelle terre destinate alla base militare (foto concessa)
Gli orgolesi nelle terre destinate alla base militare (foto concessa)

La rivolta pacifica di quel 1969 è ancora visibile a Orgosolo, ma nella potenza evocativa e battagliera dell’arte impressa nei murales. Pratobello è borgo con edifici in abbandono. Negli anni Cinquanta il governo De Gasperi aveva progettato edifici, chiesa, scuola, ambulatorio medico, ufficio postale, due botteghe, un caseificio, perfino il cimitero. Non se n’è fatto nulla non solo perché i pastori hanno smesso di stare confinati negli ovili e tornano a casa ogni giorno. Il progetto, concepito negli anni del banditismo con l’idea di controllare il territorio, si è arreso alla storia.

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