Insulti in musica, il fenomeno “dissing” nato dall’hip hop afroamericano
Anche l’Isola ha fatto la sua parte con i duelli Salmo-Luché e Vacca-Fabri FibraNotorius Big e Tupac, protagonisti di un feroce dissing negli anni Novanta: entrambi morti in agguati a colpi di pistola
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È nell’alta classifica delle parole dell’anno, complice il recente fuoco incrociato tra Fedez e Tony Effe, ma il “dissing” (riconosciuto dal 2018 anche tra i neologismi italiani della Treccani) ha origini un bel po’ più profonde e lontane. Tanto per cambiare il fenomeno delle liti in chiave musicale arriva dall’altra parte dell’Oceano: ha preso forma oltre quarant’anni fa, quando tra le strade del Bronx e di Brooklyn è nato il primo rap afroamericano, quello che poi (soprattutto negli anni Novanta) ha portato alla rivalità-scontro tra gli interpreti dell’East cost (New York) e della West cost (Los Angeles).
Le origini del nome
Dissing è un termine inglese in slang che deriva da “disrespecting” (mancare di rispetto): è il punto di riferimento della cultura musicale basata su brani che hanno il principale scopo di offendere, prendere in giro o criticare una o più persone. La prima volta che il termine “diss” compare in una traccia musicale è nel 1985, in “I can’t live without my radio” del rapper newyorkese LL Cool J, ma lo scontro che rende famosi i litigi a colpi di note – anche perché poi va a finire malissimo - è quello tra Tupac Shakur e Notorius Big, con l’introduzione anche del termine “beef” come sinonimo di dissing.
Gli scontri americani
Dagli insulti incrociati arriva il grande successo commerciale, come la notissima Hit ‘em Up (di Tupac). I livelli estremi della cosiddetta “gangsta rap” hanno effetti devastanti per i due interpreti di New York, considerati tra i più grandi rapper di sempre. Entrambi muoiono in agguati per strada a colpi di pistola: Tupac a Las Vegas nel 1996 (a 25 anni), Notorius “Biggie” a Los Angeles nel 1997 (a 24 anni). Anche Eminem - altro artista dell’hip hop di livello planetario, biondo di Detroit e afroamericano d’adozione nella West cost - fa del dissing l’anima di tante canzoni, con insulti e minacce rivolti in tutte le direzioni.
«È solo wrestling»
Il fenomeno dell’insulto musicale esce pian piano dalle strade malfamate delle periferie delle metropoli, attraversando il tempo e gli stili musicali. Anche le ballate romantiche possono diventare stilettate di rancore. Come nel 2023: Shakira in “Bzrp” (video da 750 milioni di visualizzazioni su YouTube) fa a fette il marito, l’ex stella del calcio spagnolo Piquè. E Miley Cyrus pubblica il velenoso pezzo “Flowers” nel giorno del compleanno dell’ex marito, l’attore australiano Liam Hemsworth (in questo caso le visualizzazioni sul colosso dei video sono addirittura oltre gli 860 milioni). Ma il dissing non è solo scontro tra artisti che non si sopportano: a volte è quasi una contesa sportiva supportata da una robusta dose di marketing (e i botta e risposta dei giorni scorsi sull’asse Milano-Roma tra Fedez e Tony Effe vanno anche in questa direzione). La maggior parte delle sfide non è altro che puro esercizio musicale. Come suggerisce Jay-Z, brillante interprete dell’hip hop sulle rive dell’Hudson (nonché marito della “Queen Bey” Beyoncè), il novanta per cento dei dissing «è solo wrestling».
Il fenomeno in Italia
In Italia i primi scontri musicali prendono vita negli anni Novanta. Il battesimo sarebbe riconducibile al pezzo “L’antidoto” di Kaos One, in cui il bersaglio è Jovanotti, al tempo - è il 1995 - assai criticato dal mondo hip hop per la sua tendenza a mettere insieme il rap con la musica italiana più leggera. Nel 1998 è Dj Gruff (ex Sangue Misto) a prendersela con gli Articolo 31 nel brano “1 vs 2”, che dovrà poi essere cambiato per il successivo scontro legale (pace firmata nel 2010 con il singolo firmato assieme: “Il mio nemico”). Nel mondo del dissing italiano entra di diritto Fabri Fibra, che nel 2004, nell’album Mr Simpatia, va all’attacco di diversi personaggi, come Albertino, LaPina e Tormento.
Il cagliaritano Vacca
La partita dei dissing vede protagonista anche il cagliaritano Vacca (Alessandro), che passa dalle collaborazioni allo strappo proprio con Fabri Fibra che in un’intervista si ritiene «più amico che fan» del rapper sardo. Segue una lunga serie di schermaglie, con “Canto primo” (Vacca) “Niente di personale” (Fabri Fibra) del 2014. La sfida a distanza va avanti con “Nella fossa” (Vacca) e “Fatti da parte” (Fibra). Secondo gli esperti del settore il livello delle rime e dei brani sarebbe così qualificato da meritarsi il riconoscimento di miglior dissing della storia del rap italiano. C’è poi il caso di Inoki: nel 2012 parte all’attacco di Guè (allora Pequeno), colpevole di aver abbandonato la strada dell’underground cominciata insieme. Ma il rapper di “Come un tuono” sceglie il silenzio, replicando con un tagliente: “Sarebbe come far giocare il Milan con la Nocerina”. Sempre Guè, stavolta con la collaborazione di Marracash, in “Purdi” punta l’attenzione contro Fedez e J-Ax, anche se non c’è un riferimento preciso nel pezzo. Di sicuro non arriverà mai una risposta dai due rapper dei “Comunisti col Rolex”.
Salmo e Luché
La Sardegna è protagonista anche nel dissing tra Salmo e Luchè: dopo una serie schermaglie il rapper olbiese fa un riferimento al suo più giovane collega nel pezzo “Red Bull 64 Bars” che porta a una rapida risposta – siamo nell’estate del 2023 – del cantante napoletano: esce il brano “Estate dimmerda 2”, che si rifà all’omonima canzone dell’interprete gallurese uscita nel 2017. Nel giro di appena un giorno Salmo torna alla carica con il brano “Dove volano le papere”. Controreplica lampo di Luché, stavolta con “Ho paura di uscire”. Poi altri pezzi-lampo, sino a quando Salmo rientra in scena con “Game Over”. L’artista sardo sceglie poi una battuta sui social per mettere la parola fine: “Comunque i rapper americani ci mettono troppo a rispondere ai dissing. Io e Luché abbiamo fatto sei canzoni in tre giorni”. Il riferimento è alla sfida tra J Cole e Kendrick Lamar, dove peraltro il rapper nato in una base statunitense in Germania chiede scusa al collega per il dissing: «La cosa più sfigata che ho fatto».