In un calice di Carignano, Calasetta e i volti di cinque generazioni
Stefano e Erica Verona in una storia di famiglia dedicata al grande vitigno del SulcisLe parole della vigna sono quelle sussurrate. Discrete perché non hanno bisogno di proclami. E tuttavia sono capaci di penetrare nel profondo, incidere nelle emozioni, esprimere il volto più autentico di un vino. Erica Verona, 37 anni, non è solo un’entusiasta vignaiola del Sulcis, e le sue riflessioni sul suo lavoro non sono semplicemente bei racconti legati all’azienda. Erica grazie alla passione sconfinata del padre Stefano, sua guida immancabile tra i filari di Carignano, dischiude contenuti antichi e lancia una luce sul significato più autentico di “vigna di famiglia”. Un tesoro che molta Sardegna vitivinicola possiede, ma che spesso dimentica o, peggio, sotterra.
Laurea in giurisprudenza a Cagliari, studi in scienze dell’alimentazione e gastronomia e una famiglia con all’attivo cinque generazioni tra grappoli e vendemmie, Erica ha scelto di stare a Calasetta, di seguire le orme di suo padre Stefano e dei suoi nonni nel vigneto di famiglia. Alberelli antichi che da cento anni guardano il mare, radicati in un tratto di falesia su un blu cobalto e luminoso che solo l’Isola regala. Da quelle viti prende vita un rosso come pochi perché espressione di una storia di rara bellezza: Raije, Carignano doc, che in tabarchino significa Radici. Ed è proprio su questo termine che è inciso il destino della famiglia Verona e della Tenuta la Scogliera a Calasetta.
«Le radici di questo vino, di questo vitigno sono le mie radici. Quelle viti di Carignano – spiega Erica indicando i vigneti della tenuta - sono le mie sorelle maggiori. Piantine a piede franco che stanno lì da prima di me, sempre con lo stesso patrimonio genetico da un secolo. E un po’ dei loro geni, sono certa, scorre pure nelle mie vene, nelle mie radici, perché c’è un filo rosso che mi ha sempre tenuta attaccata a questa terra, in un rapporto di amore e odio, dato dal confronto figlia-genitore, e che ora più che mai mi sta spiegando perché e quale fosse il mio posto». Eccolo il legame fraterno con le piantine della sua vigna. È qualcosa di più intimo e avvolgente. È una visione di audace passione che svela come i componenti della sua famiglia, tutta, siano in quella terra davanti all’orizzonte azzurro, e non solo all’interno delle mura di casa. Una certezza questa che l’ha convinta a non abbandonare l’isola e l’Isola madre. La sua missione è appunto vivere qui proprio come ha imparato da suo padre. E come hanno fatto quelle viti aggrappate sulla sabbia. «Perché non posso imitare i miei resilienti centenari fratelli, alberelli di Carignano, e restare qui, su questa Isola, a vedere il mare da un vigneto a picco su una scogliera e produrre comunque frutto?».
Stefano Vigo, nonno materno del padre di Erica, è stato tra i 15 fondatori della Cantina di Calasetta. «Il vigneto da cui noi abbiamo preso le talee per dare vita ai nostri vigneti era stato piantato dal padre del nonno di mio papà, nel 1852, che a sua volta – racconta Erica – aveva preso le talee dai vigneti allevati in una località di Calasetta denominata “Vigna Grande”, sarebbero le prime viti impiantate dai piemontesi nel 1774, provenienti dalle tenute dei Principi di Carignano». Intorno al 1940 il vigneto è stato reimpiantato dal bisnonno paterno. Stefano Vigo è stato anche socio conferitore della cantina di Calasetta fino al 1975, «così come lo è stato mio bisnonno paterno, Battista Verona, e dopo di lui mio nonno Maurizio Verona, che oltre a essere conferitore della Cantina di Calasetta ha prodotto una sua bottiglia, era il 1955. Nel 1998 è subentrato mio padre che per alcuni anni è stato socio e amministratore della cantina sociale di Calasetta».
Oggi Stefano è socio della Cantina Sardus Pater di Sant’Antioco, una coop che ha progetti lungimiranti per valorizzare il Carignano ad alberello, «anche sostenendo la vinificazione di alcuni suoi soci conferitori, tra cui noi, in uno spirito comunitario e sociale spinto da obiettivi comuni di valorizzazione della nostra isola, del territorio e del suo patrimonio vitivinicolo, enologico e storico». Un lungo cammino attraverso il tempo ripercorso dai volti di una famiglia e dalle mani macchiate di mosto e segnate dalla salsedine. È l’essenza delle stagioni che Raije restituisce in un calice dai profumi della storia e di quell’antica insenatura chiamata “Caladiseta”. Emozioni che nessuno meglio di quel vino resiliente può esprimere. Da qui il racconto profondo di un’isola e della sua gente che si intreccia con le voci di questi eroici grappoli. Sono le vigne a piede franco di un vitigno allevato ad alberello sulle sabbie di una piccola gemma geologica dell’Isola madre. Una produzione di nicchia, ruota sulle mille bottiglie, e che prende vigore dal maestrale che sferza il faro di Mangiabarche.
«Dietro una bottiglia di vino c’è emozione, sentimento», scrive Erica. «C’è una storia che parla di tempo, parla di famiglia, parla di emotività». C’è soprattutto Stefano Verona con le sue 65 vendemmie e il suo grande lavoro, ci sono i suoi nonni e l’isola tabarchina. E c’è sua figlia Erica, che ancora liceale andava a scuola «con le unghie macchiate di mosto», la sua passione e i suoi alberelli di Carignano, fratelli radicati nelle stagioni di un suolo estremo e vitale. Questa è la straordinaria storia di un Carignano Doc.