Sì se puede! Sì, se puede!”. La remontada comincia in plaza de Los Sagrados Corazones, all’angolo nordovest dello stadio Santiago Bernabeu. Lì, e lungo l’avenida de Concha Espina, si radunano a migliaia i tifosi del Real Madrid per il rito del saluto al bus della squadra. Un’ora e mezzo prima della partita, il motorhome bianco sbuca dal fondo della strada, a circa un chilometro dall’ingresso in quello che oggi (e sino al 14 dicembre) è un grande cantiere. A quel punto, la scorta motorizzata della polizia viene regalmente affiancata dalla polizia a cavallo. A passo d’uomo, il bus avanza tra due ali di tifosi impazziti, che fanno roteare le sciarpe intonando a squarciagola i loro canti: “Somos los reyes de Europa” e “Como no te voy a querer se fuiste campeon de Europa una y otra vez”. Da dietro i vetri oscurati, i giocatori assorbono l’energia, qualcuno riprende col telefonino, altri restano immersi nella musica delle loro cuffie mentre la folla si esalta nell’adorazione. La rimonta comincia sempre da lì. Poi il bus non compie il giro dell’aiuola della piazza per essere inghiottito dal garage del Bernabeu.

I giocatori del Real Madrid festeggiano al "Santiago Bernabeu" la vittoria in rimonta sul Citi (Ansa)
I giocatori del Real Madrid festeggiano al "Santiago Bernabeu" la vittoria in rimonta sul Citi (Ansa)
I giocatori del Real Madrid festeggiano al "Santiago Bernabeu" la vittoria in rimonta sul Citi (Ansa)

La legge del Bernabeu

Quella di rimontare, come capitato tre volte di fila nelle incredibili partite di Champions contro Il Paris Saint Germain (massimo pretendente al trono), Chelsea (campione in carica) e Manchester City (probabilmente la squadra più forte in lizza), è più che un’arte per i blancos. È qualcosa di molto intimamente connesso al dna di quello che si vanta di essere (palmares alla mano) il più grande club del mondo. Tredici Coppe dei Campioni sollevate dicono una cosa sola: chi vuole vincere la Champions League deve chiedere il “permesso”, o meglio lo deve esigere di forza, al Bernabeu, dove il Madrid si è riscoperto invincibile (quando conta, dato che in questa edizione ha perso con la Sheriff Tiraspol...) come nei leggendari anni Ottanta. È in quel periodo che, paradossalmente, è nato il mito del Santiago Bernabeu. In quei lunghi anni di digiuno, tra la “Sexta” del 1966 (l’ultima del leggendario Paco Gento, unico con sei titoli europei) e la “Septima”, quella del 1998 e del gol di Mijatovic alla Juventus, la tifoseria si affezionò a una squadra speciale.

Il Real Madrid campione d'Europa nel 2018 a Kiev (Ansa)
Il Real Madrid campione d'Europa nel 2018 a Kiev (Ansa)
Il Real Madrid campione d'Europa nel 2018 a Kiev (Ansa)

Due coppe Uefa

Era il Real Madrid capace di vincere due volte di fila Coppa Uefa nel 1985 e 1986 (e poi di stabilire l’imbattuto record di cinque campionati consecutivi tra il 1986 e il 1990) con straordinarie rimonte. Nell’edizione 1984-85 capitò tre volte: nei sedicesimi di finale, perse 3-1 a Fiume con il Rijeka, poi si impose 3-0 a Chamartin. Negli ottavi, sconfitto 3-0 in Belgio, travolse l’Anderlecht al ritorno (6-1). Infine, in semifinale, perse 2-0 a San Siro ma al ritorno inflisse all’Inter un 3-0 che gli spalancò la porta per la comoda finale con gli ungheresi del Videoton. Partite rimaste nell’epica blanca tutt’ora. L’anno successivo, stessa musica: sconfitta 1-0 al primo turno ad Atene con l’Aek, 5-0 al ritorno. Agli ottavi, neppure il clamoroso 5-1 subito in Germania dal Borussia Moenchengladbach bastò a scoraggiare la squadra di Luis Molowny che al ritorno passò con il 4-0. Il semifinale l’attendeva l’Inter per la rivincita: al Meazza finì 3-1 per i nerazzurri che a Madrid incassarono lo stesso punteggio, prima di crollare (5-1) nella “prórroga”, ai supplementari.

La caldissima "inchada" (tifoseria) del Real Madrid (Ansa)
La caldissima "inchada" (tifoseria) del Real Madrid (Ansa)
La caldissima "inchada" (tifoseria) del Real Madrid (Ansa)

Il grande Real

Era quello il “grande Real” di cui canta l’interista Max Pezzali. Era la squadra di Juanito (leggendario giocatore morto a 38 anni in un incidente stradale e ancora oggi osannato dai tifosi con il coro “Illa illa illa, Juanito maravilla!”), ma soprattutto della “Quinta del Buitre”. Emilio Butragueño, Manolo Sanchís, Rafael Martin Vasquez, Miguel Pardeza e Michel erano cinque giocatori del Castilla, la squadra B del Real allenata da Amancio, che Alfredo Di Stefano, allora allenatore, trasferì in blocco in prima squadra, su suggerimento del giornalista del Pais, Julio Cesar Iglesias. Fecero la fortuna di quella squadra, anche se soltanto uno, Sanchís, arrivò a sollevare una “coppa dalle grandi orecchie”.

Emilio Butragueño e Hugo Sanchez, stelle del Real Madrid anni Ottanta (archivio L'Unione Sarda)
Emilio Butragueño e Hugo Sanchez, stelle del Real Madrid anni Ottanta (archivio L'Unione Sarda)
Emilio Butragueño e Hugo Sanchez, stelle del Real Madrid anni Ottanta (archivio L'Unione Sarda)

Quella squadra, impregnata di madridismo sino al midollo (il cui legame con quella attuale è il difensore e oggi team manager Chendo, in panchina con Carlo Ancelotti), fece della rimonta un marchio di fabbrica, arrivando a codificare, con Camacho delle regole precise, un vero decalogo: aggredire subito la squadra avversaria (talvolta sin dal tunnel…), fare il primo fallo e il primo tiro in porta, creare un clima intimidatorio, soffocare i rivali nei primi venti minuti, facendoli sembrare eterni, eccetera. Fu in quegli anni che proprio a San Siro, Juanito pronunciò la frase, rimasta memorabile: “Novanta minuti nel Bernabeu posso durare un secolo”. Nuovi testimoni possono oggi confermarlo.

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