Il premier Mario Draghi ha annunciato nei giorni scorsi che le centrali elettriche a carbone saranno riattivate oppure la loro vita produttiva sarà allungata per far fronte all’emergenza energetica provocata dalla guerra in Ucraina. L’Italia e la Sardegna devono far fronte all’incremento dei costi per l’energia elettrica e alla riduzione degli arrivi di gas così come possono. Siamo sicuri che questa sia la strada giusta?

Il dibattito è aperto e negli ultimi giorni impazza giustamente il confronto sui metodi da utilizzare per far fronte ai rincari dell’energia elettrica oltre che delle materie prime. Il Governo ha preso una strada ben precisa che è quella di prolungare la vita alle centrali che invece ci si stava proponendo di dismettere per ridurre le emissioni.

I rincari, peraltro, sul mercato del gas si fanno sentire, visto che giovedì scorso il prezzo quotava intorno a 144 euro a megawattora contro i 60 euro di settembre scorso. Certo siamo al di sotto del record storico di 182 euro toccato a dicembre quando gli operatori finanziari scontavano i possibili rialzi dei mesi successivi temendo venti di guerra che purtroppo non hanno girato al largo dall’Europa. E se i prezzi rischiano di riprendere a salire (sempre giovedì il costo di un megawattora di elettricità ha toccato la cifra record di 284 euro), non è da escludere che a incidere sul costo del metano saranno anche altri problemi, a iniziare dal sistema di pagamenti internazionali Swift, dal quale la Russia dovrebbe essere esclusa in conseguenza delle sanzioni che la comunità internazionale sta varando nei confronti dello Stato guidato da Vladimir Putin.

Il ritorno al carbone

La riapertura delle centrali a carbone, dunque, viene considerata una delle strategie da porre in essere per far fronte all’aumento del prezzo del gas e alla riduzione delle forniture dalla Russia. Ma c’è un però di cui bisogna tenere conto. Nel 2021, il totale del carbone utilizzato dalla centrale di Fiume Santo a Porto Torres, indovinate da dove arriva? Dalla Russia. Nel 2021, infatti, il 100% del carbone sbarcato sulle banchine dello scalo del Nord Sardegna, circa 792 mila tonnellate utilizzate per alimentare la centrale, sono arrivate dalla Russia, mentre per quanto riguarda la centrale di Portovesme, solo il 4,5%, ossia 33 mila tonnellate su oltre 748 mila provengono dal Paese di Putin (fonte: Autorità portuale della Sardegna). Questo significa che l’Isola, almeno per la metà della produzione di energia elettrica nelle due centrali a carbone sarde, dipende dalla Russia e quindi mantenere attive le centrali non risolve il problema delle forniture da Mosca. Che sia gas o carbone sempre dalla patria dello Zar arriva la materia prima, dunque è necessario diversificare per evitare di rimanere stritolati nella morsa dei rincari.

Il gas e le forniture

Sul fronte del gas le cose vanno pure peggio, posto poi che in Sardegna non c’è una rete capillare di distribuzione del metano ma paghiamo ugualmente le conseguenze dei rincari del gas. Nel nostro Paese, su circa 271 milioni di metri cubi utilizzati in Italia il 24 febbraio scorso, come evidenziato dal Sole 24-Ore, 63 milioni provengono da stoccaggi, 62 dall’Algeria, 42 dalla Russia, 40 da Gnl (gas naturale liquido), 27 dal gasdotto Tap, 22 dal Nord Europa e 8 dalla produzione nazionale. Tra le proposte fatte negli ultimi giorni c’è senza dubbio quella di aumentare la produzione nazionale, con una maggiore estrazione di gas in Italia. Di sicuro è una delle strade percorribili anche se non risolutive, visto il peso ridotto sul fabbisogno complessivo. L’utilizzo di gas algerino è già cresciuto, così come sono aumentati gli arrivi da Tap e Nord Europa. Tuttavia, non è facile implementare da un giorno all’altro queste importazioni di gas a causa delle dimensioni dei gasdotti.

Oggi i maggiori produttori di gas al mondo, prima anche della Russia, sono due: gli Stati Uniti e il Qatar. Negli ultimi mesi, il flusso di gas naturale liquido, prodotto negli Usa e trasportato con le navi per poi essere rigassificato, è cresciuto nell’Atlantico, come spiegano diversi report di siti specializzati nel mercato energetico. Proprio il Qatar è tra i primi Paesi al mondo ad avere una tecnologia molto avanzata sulla rigassificazione del gas liquido. Il sistema è semplice: si arriva con le navi nei depositi costieri, si scarica la merce che poi ritrova la forma gassosa e viene inserita nelle reti di distribuzione o avviata verso le centrali per la produzione di energia elettrica (circa la metà della produzione di energia elettrica in Italia proviene dall’utilizzo del gas, che importiamo per il 96%). Quale è il vantaggio dell’utilizzo del gnl in arrivo sulle navi gasiere? Che si può comprare dal migliore offerente, e non con contratti a lungo termine come quelli dei gasdotti, aumentandone anche l’arrivo quando è necessario. Una soluzione, dunque, per far scendere il prezzo dell’energia elettrica e del gas nel nostro Paese, potrebbe essere quello di potenziare l’utilizzo dei rigassificatori, come quelli di Panigaglia e Livorno nel Tirreno oppure di Rovigo nell’Adriatico, oppure dei depositi costieri, come quello appena realizzato nel porto industriale di Oristano. Tutto questo permetterebbe di ridurre i costi d’acquisto. Il piano energetico appena varato dal Governo per la Sardegna prevede poi due navi con deposito e rigassificatore annessi da sistemare nei porti di Porto Torres e Portovesme. Strutture amovibili che non convincono gli amministratori sardi. Si chiedono invece strutture fisse come quella di Oristano, che in un futuro ormai prossimo potranno essere riutilizzate anche per l’idrogeno senza ulteriori investimenti. Se le navi con rigassificatore invece staccheranno gli ormeggi, la Sardegna sarà ancora una volta punto e a capo.

© Riproduzione riservata