Gli attacchi ai gasdotti nel mare del Nord, ma non solo, hanno riportato al centro dell’attenzione, insieme alla guerra, un tema spesso sottovalutato: la protezione delle infrastrutture critiche. Non solo le misteriose esplosioni che hanno interessato i Nord Stream 1 e 2 sono da prendere in considerazione ma anche altri atti dimostrativi che trovano spazio soltanto nelle brevi delle pagine di Esteri nei giornali italiani: per esempio i danni ai cavi delle ferrovie tedesche, che le autorità ritengono appunto un atto non casuale, oppure attacchi a dighe del Nord Europa. Gli hacker sono in grado di intervenire da remoto per sabotare un acquedotto oppure, ad esempio, cavidotti attraverso cui passano dati sensibili e soprattutto di cui oggi non possiamo più fare a meno. Proprio in questi giorni, peraltro, la Regione Sardegna sta valutando cosa fare della rete di cavi Internet, che collega l’Isola con la Sicilia, di cui è proprietaria per il 49% attraverso la società Janna.

La guerra non si combatte soltanto sui campi di battaglia o nelle trincee, dunque. Nel terzo millennio stiamo scoprendo una realtà nuova, fatta di sabotaggi, spionaggio e atti di guerra non convenzionali. E bisogna tenerne conto. Tanto più che proprio dopo il sabotaggio dei gasdotti Nordstream, l’attenzione della Marina militare e delle nostre forze armate sui mari che circondano la Penisola è cresciuta.

L’allarme

Proprio in questi giorni (giovedì 13 ottobre) i ministri della Difesa alleati si soffermeranno sull’esigenza di salvaguardare le infrastrutture critiche durante il Consiglio Atlantico, visto l’incremento di episodi appunto di guerra ibrida. “Dobbiamo proteggere le nostre infrastrutture, che per la prima volta sono diventate un obiettivo, e serve prepararsi al meglio”, ha detto la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen nel suo discorso al Digital Summit di Tallin, citando espressamente i cavi sottomarini attraverso cui passa la fibra ottica. Ci sono però anche altri possibili obiettivi: elettrodotti e gasdotti solo per citarne alcuni. L’Alleanza Atlantica può fare tanto ma non tutto, basti pensare che nel solo Mare del Nord ci sono circa ottomila chilometri di gasdotti e oleodotti da monitorare. Nel Mediterraneo, invece, passano molti cavidotti e altri sono in fase di progettazione o realizzazione e saranno sempre più determinanti negli equilibri geopolitici. La Cina, ad esempio, sta estendendo il suo potere in fibra ottica nel bacino del Mediterraneo per collegare diversi continenti, tra cui l’Africa e l’Europa, passando per la Francia. In questo quadro le autorità sovranazionali hanno un ruolo ma poi sono le forze armate a declinarlo, tanto che nelle ultime settimane, proprio il capo di Stato maggiore italiano della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, ha mandato le navi della nostra Marina a pattugliare i mari tra la Sicilia, la Sardegna e il Nord Africa, dove passano i gasdotti che arrivano in Italia e anche alcuni importanti cavidotti. La Sardegna, va ricordato, è collegata con la penisola da un cavo elettrico sottomarino, il Sapei, che ci permette l’interscambio dell’energia elettrica, mentre un altro, il Sacoi (Sardegna, Corsica, Italia) attraversa l’isola gemella.

Se è vero che spetta prima di tutto alle compagnie proprietarie di gasdotti e cavidotti il compito di monitorare le infrastrutture, anche le forze militari sono ormai in campo. E all’interno della Nato si discute se questo compito spetti agli organismi sovranazionali. È stato anche proposto infatti di creare una “task force dedicata” oltre che semplicemente aumentare la vigilanza. Non si esclude, peraltro, che un attacco ibrido possa far scattare l’articolo 5 del trattato di Washington, ossia la clausola di sicurezza collettiva della Nato.

Dell’argomento si è parlato anche di recente durante il Trans-Regional Seapower Symposium di Venezia, al quale hanno partecipato i rappresentanti della nostra Difesa, dal ministro Lorenzo Guerini allo stesso capo di Stato Maggiore Cavo Dragone. Il benessere dei nostri Stati, oramai, passa attraverso il mare, in particolare perché un bacino come il Mediterraneo, oltre a integrare culture e sviluppare traffici, è proprio un grande contenitore di infrastrutture critiche. Secondo il capo di Stato maggiore della Marina, “dobbiamo cominciare a pensare alla dimensione subacquea e in Italia stiamo attivando il Polo nazionale della Subacquea proprio per questo scopo”. Il ministro, invece, ha posto l’accento proprio sul fatto che “la sicurezza di accesso alle vie marittime è una necessità imprescindibile, sui vari scenari internazionali. Il Mediterraneo allargato è cerniera di tre continenti, e purtroppo anche luogo di riverbero delle crisi e delle conflittualità di questi continenti”, ha continuato Guerini. In questo quadro si rende sempre più necessario provvedere alla sicurezza energetica e al relativo approvvigionamento delle materie prime da cui, a detta del ministro, “discende il tema della tutela degli interessi economici e commerciali”.

I cavi sottomarini

Attraverso queste infrastrutture oggi passa circa il 97% del traffico Internet e 10 miliardi di dollari di transazioni finanziarie ogni anno. Immaginate cosa potrebbe succedere se venissero sabotati questi cavi nel Mediterraneo. Nel 2008 un danneggiamento del “Sea-Me-WE-3”, dorsale digitale da 39 mila chilometri che mette in connessione 32 Paesi (con 92 investitori) partendo dal Nord della Germania per tagliare l’intero bacino del Mediterraneo fino a Mar Rosso, Mar Arabico, Oceano indiano e Pacifico, lasciò quasi due milioni di persone senza Internet. Il Paese più colpito fu quello degli Emitati Arabi Uniti: il suo mondo digitale fu a lungo isolato, con difficoltà evidenti per imprese e cittadini.

Proprio per questo la Marina Militare italiana e Sparkle, operatore globale del gruppo Tim a cui fa capo una rete di 600 mila chilometri di rete in fibra in tutto il mondo, hanno siglato un’intesa per migliorare la protezione delle infrastrutture di telecomunicazione sottomarine.

Justin Sherman, esperto dell’Atlantic Council, in un recente articolo scritto per Ispi, ha ricordato che “i governi occidentali spesso concettualizzano Internet come una cosa astratta – cloud, cyberspazio – dimenticando che dipende da un’infrastruttura fisica per funzionare”. Ecco perché non va sottovalutata l’azione di Paesi come Cina o la stessa Russia che invece guardano con attenzione alle infrastrutture terrestri di Internet.

“Da tempo i membri Nato hanno aperto dialogo e pianificazione su scenari in cui unità rivali possono compiere sabotaggio o spionaggio sui cavi sottomarini (non è detto che non sia già successo)”, spiega l’esperto Emanuele Rossi, analista di Affari internazionali e geopolitica, in un suo articolo pubblicato di recente. “E il Mediterraneo anche in questa dimensione subacquea ha una sua rilevanza. Il bacino è tagliato Est-Ovest dalle connessioni che viaggiano sull’asse Europa-Asia e su quello che da lì riparte verso l’Atlantico. Un quadro che segna anche in questo caso come la regione sia un fulcro delle connessioni globali. Gibilterra e Suez (attraversato da 19 cavi), e il corridoio del Canale di Sicilia, segnano lineamenti di passaggio di questa talassocrazia sottomarina. L’isola italiana ha una connotazione geografica (e dunque geopolitica) perfetta per farla essere Point-of-Presence, un nodo strategico del network digitale che guida i dati tra Europa meridionale, Medio Oriente e Nord Africa”.

Serve dunque un nuovo approccio al problema delle infrastrutture critiche. Un tempo (ma anche oggi visto quanto accaduto in Crimea) la guerra mirava ai ponti, alle dighe e alle infrastrutture fisiche più importanti per minare l’integrità e la difesa di uno Stato. Oggi, basta un sabotaggio a un oleodotto per far salire le quotazioni del petrolio o del gas, riducendo la capacità economica di uno Stato, così come se un cavo in fibra andasse in tilt, miliardi di transazioni finanziarie salterebbero. Basta poco, il mare va difeso e non solo dal punto di vista ambientale, così come le infrastrutture terrestri del nuovo mondo. Fanno parte della vita a cui ci siamo abituati.

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