Controllano il mondo e non ce ne eravamo accorti. I microchip sono il cuore invisibile di automobili, frigoriferi, forni a microonde, smartphone, ascensori, consolle per videogiochi e mille altri apparecchi che ci accompagnano nella quotidianità. Il coronavirus però li ha fatti salire alle luci della ribalta. Sì, perché il pianeta ha scoperto quasi all’improvviso di esserne a secco. Le poche fabbriche produttrici avevano infatti unanimemente deciso di tagliare la produzione nella primavera del 2020, ipotizzando un tonfo delle richieste durante la pandemia. Mai previsione fu meno azzeccata.

Nuova vita

Mentre all’inizio dell’anno scorso imprese e uffici chiudevano, la vita si è infatti spostata tra le mura domestiche. Le riunioni di lavoro si sono trasformate in videoconferenze, pranzi e cene sono diventati ordini da asporto online e la scuola ha dato un’accelerata alla didattica a distanza. Le case, inoltre, per rendere più confortevole la quarantena forzata si sono col tempo arricchite di piccoli e grandi elettrodomestici di nuova generazione. Senza dimenticare i rapporti interpersonali tra amici e parenti, per lungo tempo filtrati esclusivamente dagli schermi di telefoni, pc e tablet su Whatsapp, Zoom, Skype e altri social network.

Insomma, è scattata in poco tempo una corsa alla digitalizzazione di massa che ha paradossalmente fatto impennare la richiesta di “device” elettronici, e di conseguenza dei microchip che li gestiscono, prendendo così in contropiede i colossi di ogni settore. Dalle case automobilistiche ai produttori di smartphone, passando per elettrodomestici e personal computer. Tutti alla disperata caccia di microchip e ora costretti a rivedere i tempi di consegna e le stime di fatturato.

Intrigo internazionale

A ingarbugliare ulteriormente la matassa, ci sta pensando anche un intrigo internazionale. C’è chi infatti, come la Cina, ha subodorato in anticipo il problema decidendo di accaparrarsi ingenti scorte di componentistica da tutto il mondo, lasciando quindi i paesi rivali a bocca asciutta. Il colosso asiatico, tra l’altro, da tempo occupa una posizione dominante nel mercato: il 63% dei semiconduttori di tutto il mondo (i componenti metallici dei chip come germanio, arseniuro di gallio e soprattutto silicio) si produce a Taiwan, mentre il 91% della produzione mondiale di chip ha sede in Asia. Una concentrazione di risorse e infrastrutture che ha fatto scattare l’allarme negli Stati Uniti, tanto da costringere il presidente Joe Biden a mettere su in tutta fretta un piano di emergenza per rendere gli Usa più autonomi grazie a uno stanziamento di 50 miliardi di dollari che sta già contribuendo alla creazione di quattro fabbriche di microchip. Anche L’Unione Europea non resta a guardare: Bruxelles ha infatti approvato il programma Digital compass, per raggiungere entro il 2030 il 20% della produzione mondiale.

Il presente e il futuro

La mossa dei big del mondo sembra però tardiva. I prossimi mesi saranno infatti critici per quasi tutti i settori produttivi. Le prime a capitolare sono state le case automobilistiche. Stellantis, Volkswagen, Ford, Hyundai, Volvo e Audi, tanto per fare qualche nome, chi prima e chi dopo, negli ultimi mesi hanno sospeso le catene di montaggio. A marzo l’amministratore delegato di Volkswagen, Herbert Diess, aveva dichiarato che la carenza di chip aveva impedito la produzione di 100mila automobili, mentre nel primo trimestre del 2021 la crisi è costata a Stellantis una perdita produttiva di 190mila unità. Dall’altra parte dell’oceano non è andata meglio: l’iconica casa automobilistica americana Ford ha anticipato che dimezzerà la produzione di veicoli nel secondo trimestre del 2021, estendendo le ipotesi di crisi anche al 2022.

I veri problemi riguardano infatti il futuro prossimo. Quando si parla di settori che muovono ogni anno quantitativi di ordini stellari, prima di far di nuovo combaciare domanda e offerta occorrono tempi non brevi. “Abbiamo ancora molta strada da fare. Ci vuole molto tempo per ricostruire la capacità di produzione”, ha ammesso il ceo di Intel, tra le case produttrici leader nel mondo di chip per apparecchi elettronici. E la stessa Volkswagen ha ribadito che la carenza di componenti proseguirà per un paio di anni.

Questo che significherà? Probabilmente che la Cina approfitterà di questa crisi economico internazionale per consolidare lo status di aspirante leader mondiale e che il mondo, forse per i prossimi due anni, dovrà sottostare alle condizioni di Pechino per poter ottenere in cambio l’”elemosina” di qualche milione di microchip in cambio.

© Riproduzione riservata