Nelle notti di maestrale battente che si incunea nelle Bocche di Bonifacio e può alzare onde alte come palazzi sembra ancora di sentire le urla disperate di quegli uomini scaraventati in mare dalla furia della burrasca. Seicentonovantacinque vite spazzate via in poche ore, una delle più grandi sciagure della marineria nel Mediterraneo, capace persino di superare le devastazioni delle navi affondate in guerra. Decine di corpi mai recuperati, gli altri sparsi sulle scogliere della Maddalena, di Santa Teresa, di Palau, di Bonifacio. E soprattutto delle isole Lavezzi, dove materialmente avvenne il disastro. A distanza di quasi 170 anni resta ancora avvolta nel mistero la catastrofe della Sémillante, la fregata francese sorpresa dal maltempo mentre attraversava il breve braccio di mare che divide la Sardegna dalla Corsica. Non un superstite, un’apocalisse di morte quasi inspiegabile: nessun testimone in grado di raccontare cosa sia davvero accaduto in quel 15 febbraio del 1855. 

UN BASTIMENTO DI MORTE 

La nave da guerra francese era lunga 54 metri e larga 14, con 56 canoni in dotazione. Imbarcazione imponente  - varata nel 1827 - con 302 militari di equipaggio. In quell’occasione era partita da Tolone, nel sud della Francia, per arrivare a Costantinopoli, la futura Istanbul. A bordo c’erano anche 393 tra fanti e ufficiali dell’armata di terra. L’obiettivo era portare forze fresche e rifornimenti sul fronte della Guerra di Crimea, che vedeva impegnata la Francia (alleata con Regno di Sardegna, Inghilterra, Impero ottomano) contro la Russia zarista per la difesa dei luoghi santi della cristianità. Al comando Gabriel August Jugan, capitano esperto di 48 anni, che conosceva bene le insidie delle Bocche: qualche anno prima aveva guidato la goletta L’Étoile, facendo la spola tra Sardegna e Corsica. 

LA ROTTA MISTERIOSA

La notte tra il 14 e il 15 febbraio la navigazione procedeva con qualche difficoltà sulla costa occidentale della Corsica, anche se le raffiche di vento che si spostavano da maestrale a libeccio apparivano ancora sotto controllo: il problema si fece assai più grave quando la Sémillante si avvicinò al litorale sardo, con l’intento di entrare nelle Bocche di Bonifacio e poi procedere sotto costa al riparo dal vento e dalle onde, prima nelle acque della Gallura, poi della Baronia e dell’Ogliastra, sino al passaggio a sud della Sardegna in direzione Sicilia. Questi almeno erano i piani, perché in realtà la furia della tempesta segnò il destino della nave e del suo sfortunato carico di uomini. 

LA ROTTURA DEL TIMONE

La Sémillante venne avvistata a metà mattina del 15 dal guardiano del faro di Capo Testa, a pochi chilometri da Santa Teresa Gallura. La nave si muoveva in modo scomposto tra le onde schiumanti, tanto che il farista aveva ipotizzato la rottura del timone. Dopo un probabile tentativo di approdo sulla spiaggia di Rena Maiore, la fregata fu costretta ad allontanarsi dalla costa sarda per non sfracellarsi sugli scogli. Da lì la nuova rotta verso nord, a quel punto però quasi senza più controllo, fino alla scomparsa dagli occhi di ogni testimone. Spinta dalle onde e dal vento, la Sémillante venne trascinata verso i Lavezzi. Secondo il racconto degli abitanti di Bonifacio, a complicare la situazione ci sarebbe stata un’improvvisa nebbia nelle Bocche. La scena non poté che essere brutale e rapidissima: lo scafo si schiantò sulla punta dell’Acciarino, dissolvendosi in mille pezzi. Marinai e fanti non trovarono scampo in quell’inferno di schiuma impazzita. In pochi istanti fu morte e devastazione. Lo scrittore Alphonse Daudet, nelle sue “Lettere del mio mulino” scrisse il racconto L’agonia della Semillante: «Apparve all’improvviso un grande bastimento somigliante a una nebulosa, immersa nella schiuma del mare, che procedeva senza una rotta e senza una guida sulla cresta delle onde, come se avesse un’avaria importante al timone».

CENTINAIA DI CORPI

Soltanto il giorno dopo, quando la tempesta si placò, un pastore solitario dei Lavezzi si trovò davanti a uno scenario da incubo: decine di corpi adagiati sugli scogli e sulla spiaggia di Acciarino, altri sparsi su tutta l’isola principale. Non un segnale di vita, soltanto silenzio e morte. Venne lanciato l’allarme, ormai inutile, che rimbalzò in Corsica, in Sardegna, fino a Parigi, lasciando solo un senso di sgomento impotente. Per giorni e giorni pescatori e abitanti delle coste della zona rinvenirono corpi senza nome spinti dal mare. Le uniche due vittime riconosciute ufficialmente furono il comandante Jugan per l’alta uniforme e il sacerdote Joseph Carriere, che indossava l’abito talare. In un primo momento le autorità provarono a organizzare una spedizione per riportare i cadaveri nei luoghi di origine, ma poi si fece l’unica scelta possibile. Più di cinquecento corpi vennero tumulati in due cimiteri realizzati sul momento: l’Acciarino a ovest dell’isola e il Furcone a est. Molti altri vennero sepolti nelle zone di ritrovamento, soprattutto in Sardegna. Ma oltre cento vittime non furono mai più ritrovate. 

DUE CIMITERI E UN’ISOLA MISTERIOSA 

Nei giorni di bonaccia il fascino selvaggio dei Lavezzi racconta una bellezza che ha pochi eguali in tutto il Mediterraneo. Rocce di granito levigate dal vento e spiagge bianche circondate da acque cristalline, a metà strada tra il sud della Corsica e l’arcipelago della Maddalena. La macchia mediterranea esalta la suggestione di un gruppo di isolotti incontaminati e misteriosi: i due piccoli cimiteri incastonati tra gli scogli (insieme alla piramide realizzata nel luogo del naufragio) ricordano a viaggiatori e turisti che quel piccolo pezzo di terra emerso quasi per caso dal mare delle Bocche resterà indissolubilmente legato alla sciagura della Sémillante. Sulla tomba del capitano una scritta dà il senso della tragedia: «Mon cher fils», mio caro figlio, «ta mère, te femme et tes soeurs», tua madre, tua moglie e le tue sorelle, «ils voudraient déposer leur douleur sur ta tombe», vorrebbero deporre sulla tua tomba la testimonianza del loro dolore. «Per trent'anni hai navigato lasciandoci nell'inquietudine, ma ogni ritorno era la gioia. Speravamo per te. E invece tutto è finito in questo funesto naufragio».

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