Sequestrate e seviziate. Per più di una notte e un giorno. Era il 29 settembre del 1975 quando due amici della Roma bene, Angelo Izzo e Giovanni Guido, casa ai Parioli e precedenti penali tenuti nascosti, invitano a una festa a Lavinio, frazione di Anzio, due ragazze conosciute qualche giorno prima. Il patto con Rosaria Lopez e Donatella Colasanti, 19 anni l’una, 17 l’altra, entrambe residenti nel quartiere popolare della Montagnola, è che il gruppo raggiunga prima Villa Moresca, la casa al mare, in provincia di Latina, di un altro amico del giro, Andrea Ghira, 22 anni, figlio di Aldo, imprenditore edile e campione di pallanuoto. Izzo, 20 anni, allora era studente di Medicina; Guido, 21, frequentava architettura.

A Lavinio né Rosaria né Donatella sono mai arrivate. Sino al giorno dopo, le due amiche vengono drogate, torturate e insultate. Rosaria non sopravvive. Verrà annegata nella vasca da bagno, al piano superiore della villa. Donatella, invece, si salvò solo perché si finse morta, dopo un ulteriore pestaggio perché raggiunse il telefono di casa, provò a chiedere aiuto ma venne scoperta e ulteriormente picchiata. Colpita con una spranga di ferro. Al massacro parteciparono tutti e tre i ragazzi. Guido, addirittura, rientrò a Roma per andare a cena con i genitori e poi tornò di nuovo al Circeo.

Era già la sera del 30 settembre quando il cadavere di Rosaria venne caricato nel bagagliaio di una Fiat 127 bianca; idem Donatella, sebbene nessuno dei tre amici avesse capito che fosse ancora viva. L’obiettivo era disfarsi di quei due corpi, ma prima Izzi, Guido e Ghira decisero di andare in ristorante. Scelsero il quartiere Trieste. Parcheggiarono la macchina in via Pola. E quando dieci minuti prima delle 23 Donatella capì che erano scesi dall’auto, con le poche forze che le restavano cominciò a chiedere aiuto e a battere le lamiere del bagagliaio.

I rumori li sentì un metronotte che allertò i carabinieri. Arrivò una gazzella. I militari, via radio, dissero ai colleghi, per chiedere rinforzi: «Cigno, cigno, c’è un gatto che miagola dentro una 127». Un messaggio insolito che venne intercettato da un fotoreporter, Antonio Monteforte. Suo lo  scatto, passato alla storia, con il quale venne immortalata l’apertura del bagagliaio. La seconda parte dell’orrore.

Donatella Colasanti è morta il 30 dicembre del 2005, per un tumore al seno. Aveva 47 anni. Ma grazie alla sua testimonianza, mandò il terzetto sul banco degli imputati. Di quell’incubo ricordava ogni dettaglio, persino i dialoghi che sentiva dal bagagliaio nel tragitto verso Roma. I pariolini ridevano e dicevano «Zitti, che a bordo ci sono due morte».

Il processo per il massacro del Circeo cominciò il 30 giugno del 1976 davanti alla Corte d’Assise di Latina. La sentenza arrivò un mese dopo. Mai un’udienza in cui «le femministe della seconda ondata», dopo quella del ‘68, non fossero presenti. «Immobili e silenziose, compatte dietro agli avvocati […]. Sentono di essere anche loro vittime in quanto donne: questo è un processo sulla condizione femminile in una società tutta per l’uomo», si legge in uno stralcio del libro del 1977 “Le violentate”, di Maria Adele Teodori, giornalista e militante radicale nella stagione del divorzio e dell’aborto, morta otto anni fa.

Sì, il delitto del Circeo ha cambiato per sempre l’esposizione al rischio per le donne. E allo stesso tempo ha fatto cadere il limite alla mostruosità maschile. In quella villa è stata superata la misura.  Una ferocia su cui per la prima volta l’Italia si interroga. È come se tutto il Paese avesse voluta misurarla, portarla dentro casa.

Certo, il prezzo “sociale” pagato con quelle cronache è stato altissimo. La vita di Rosaria Lopez e Donatella Colasanti venne saccheggiata. Loro, le due amiche del quartiere popolare; i carnefici, invece, i benestanti. Peraltro: Ghira non fu mai catturato. Si trasferì in Spagna e sotto il falso nome di Massimo Testa de Andrés si arruolò nel Tercio, la Legione straniera del Paese iberico. Venne espulso perché faceva uso di droghe. Morì di overdose a Melilla nello stesso 1994.

Izzo e Guido, invece, finiro in galera qualche ora dopo l’apertura del bagagliaio in via Pola. Per tutti e tre arrivò l’ergastolo in primo grado. A Guido con la sentenza in appello, nel 1980, la  pena  fu ridotta a trent'anni. Entrambi, nel tempo, sono riusciti a evadere, anche se poi riacciuffati all'estero. Guido a Buenos Aires, Izzo in Francia. Il primo, oggi 69enne, pare che viva a Roma; il secondo ha ucciso di nuovo nel 2005, in provincia di Campobasso, togliendo la vita a moglie e figlia di un pentito della Sacra Corona Unita conosciuto in carcere.

Per capire chi fossero il terzetto dei Parioli, Izzo e Ghira avevano compiuto una rapina a mano armata due anni prima del massacro del Circeo. Izzo, invece, aveva anche violentato due ragazzine un anno prima, insieme ad altri due amici. Ghira diceva di ammirare il Clan dei marsigliesi, un gruppo criminale che negli anni Settanta organizzava attività illecite tra Roma e la Francia.

Una spinta alla consapevolezza sulla brutalità della violenza maschile si deve anche a Tina Lagostena Bassi, l’avvocata di Donatella Colasanti, che mai nella sua vita ha smesso di difendere le donne e i loro diritti. Nel processo sul massacro del Circeo, Lagostena Bassi si scontrava con colleghi maschi che sostenevano la non punibilità dei tre assassini, se solo i genitori di Rosaria e Donatella avessero tenuto in casa le proprie figlie, anziché farle uscire, dicevano in aula. Bestialità ideologiche, non del tutto superate.

Non è possibile dire quante donne, in quegli anni, venissero uccise dagli uomini. Il termine “femminicidio” è entrato nel linguaggio comune solo dal 2005. Da allora le croci sono almeno duemila. L’Italia si è indignata già cinquant’anni contro la mattanza. Ma non se ne vede la fine.

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